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PORCHÌM LESHUVÀM (Fioriscono al loro ritorno)

  • Immagine del redattore: progetto 710
    progetto 710
  • 10 ott 2024
  • Tempo di lettura: 11 min

Aggiornamento: 8 gen

Al ritorno di chi? E che significa “ritorno"?

Con il 7/10 la protesta diventa liturgia e la liturgia canzone.


AUTORi: Testo: Ishày Rìbo. Musica: Ishày Rìbo e Maòr Shushàn.

Canta: Ishày Rìbo.

STILE: Rilassante.

CATEGORIE: Guardando Avanti  |  Hostages

USCITA: 11/03/2024, giorno 156 di guerra e prigionia degli ostaggi.


INTRODUZIONE

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Come nel caso di molte società che subiscono un trauma, anche la società israeliana ha visto dopo il 7/10 un certo ritorno alla religiosità e alla fede.

I motivi e le modalità di questo fenomeno -non necessariamente israeliano o ebraico- sono da anni oggetto di studio nelle opportune sedi scientifiche e professionali. Nell’ambito e finalità del Progetto 710 abbiamo solo la capacità di soffermarci ad osservare il confine sfumato che separa -o non separa- la musica e il canto dalla preghiera, la canzone dalla liturgia..


‘In questo articolo lo facciamo presentando la canzone Porchìm LeShuvàm (Fioriscono al loro ritorno) di Ishày Rìbo, brano tra i più popolari del periodo seguito al 7/10. Questo suggestivo brano  è ricco di riferimenti biblici e quasicitazioni dalla liturgia ebraica, illustrati nelle note che seguono alla traduzione. Porchìm LeShuvàm contiene anche due strofe prese alla lettera da un brano liturgico che viene recitato nelle sinagoghe nei giorni di Rosh Hashanà -il Capodanno ebraico- e nella solenne ricorrenza dello Yom Kippùr.

Attraverso riferimenti colti, che ammiccano a brani ed espressioni ebraiche di periodi diversi, i drammatici eventi del 7/10 e la guerra vengono perciò iscritti in un quadro storico e culturale più ampio.


Rìbo si propone di ispirare una speranza basata su una fede enunciata con toni pacati e carezzevoli. Il brano si contrappone quindi in modo decisamente più colto ad altre canzoni presentate nel progetto 710, in cui la fede è enunciata in forma di slogan superficiale -come ad esempio nel caso del brano ‘Am Israel Chay- o in cui la fede viene arruolata in funzione della rabbia e dell’energia richieste in battaglia, come nel caso  del brano Ze’Aleinu.


Manifestazione per la liberazione degli Ostaggi

In ogni epoca e cultura l’essere umano cerca o crea situazioni liturgiche. È una necessità che non sempre si esprime attraverso liturgie canoniche, celebrate in una sinagoga, chiesa, moschea o pagoda. Molte situazioni di massa, quali le partite e i concerti in uno stadio, o le manifestazioni di protesta, in piazza (1), presentano infatti modalità prettamente liturgiche.


Ishai Ribo in concert

È stato perciò scelto di proporre qui un’esecuzione dal vivo del brano Porchìm LeShuvàm, registrata nella prestigiosa sala Hangar 11, a Tel Aviv.  È dal vivo, nell’interazione tra il cantante ed il pubblico, che è più evidente il carattere semiliturgico della canzone. Infatti, giunto a strofe contenenti invocazioni, Ribo si rivolge al pubblico e, chiedendo di rispondere “amèn” alle invocazioni, lo coinvolge attivamente in una dinamica prettamente di carattere religioso.


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Ishay Ribo, classe 1989, è cresciuto a Marsiglia sino all’età di otto anni, per poi trasferirisi con la famiglia in Israele. Ha iniziato a scrivere canzoni a tredici anni, per poi iniziare la propria carriera musicale professionale verso la fine del servizio militare.

Oggi Ishay è uno dei cantautori più popolari in Israele del genere rock-pop religioso.

È sposato con Yael, ha cinque bambini e vive a Gerusalemme.


Traduzione, NOTE e COMMENTI:

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Tutte le lacrime e il dolore

sgorgati dal cuore

alla fine faran germogliare (2) il mondo

Campi, frutteti di verità

anemone e mandorlo  (3)

fioriranno al loro ritorno (4)


Tutto ciò che abbiamo passato

strada facendo abbiamo anche compiuto errori

però alla fine abbiamo capito (5)

che da soli non ce la faremo


Tutto ciò che sapevamo (6)

si è rivelato sconosciuto (6)

e come da quel giorno di festa (7)

non abbiamo più un momento vuoto (8)


Tutte le lacrime e il dolore

sgorgati dal cuore

faranno allora germogliare (2) un mondo

Campi, frutteti di verità

anemone e mandorlo  (3)

fioriranno al loro ritorno (4)


Quel mattino di Sheminì ‘Atzèret (7)

in cui il tempo si è fermato

le volpi (9) han distrutto la vigna (10)

si son presi il corpo ma non l’immagine divina (11)

E allora, nel pieno dello  shock, (12)

abbiamo abbondato in bontà

abbiamo moltiplicato sia generosità e gentilezza (13)

sia il ferro, sia la spada (14)

e le preghiere in sinagoga (7)


Sino a che tutte le lacrime e il dolore

sgorgati dal cuore

non rimarranno inascoltate (15)

Campi, frutteti di verità

armonica e pianoforte

suoneranno per il loro arrivo.


(16) Oggi dacci coraggio

oggi benedici noi

oggi facci crescere

cercaci con occhio benevolo


Oggi onoraci

oggi rincuoraci

oggi allontanaci

allontanaci da ogni male


Oggi abbi pietà di noi

proteggi i nostri soldati (17)

fa tornare i nostri prigionieri (18)

facci trovare consolazione  (19)


A questo punto, nel videoclip dell'esecuzione dal vivo, il cantante si rivolge al pubblico: “Ora dite tutti Amèn!”.

Ribo ripete le tre ultime strofe invocatorie “Oggi…” e il pubblico risponde “Amèn” ad ogni invocazione.


Sino a che tutte le lacrime e il dolore

che han bruciato il cuore

faran germogliare (2) un mondo

Campi, frutteti di verità

anemone e mandorlo  (3)

fioriscono ora al loro ritorno (4)

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NOTE e COMMENTI:

(1) Nell’Israele post 7/10, hanno un deciso carattere liturgico le manifestazioni per la liberazione degli Ostaggi prigionieri di Hamas a Gaza. In modo inconsapevole -o comunque non dichiarato- queste manifestazioni di protesta sono divenute eventi pubblici che seguono la liturgia di una vera e propria religiosità laica.

Questo carattere emerge anche nelle modalità, nel ritmo scandito della lettura dei nomi degli ostaggi cui il pubblico risponde in modo altrettanto ritmato, nella commozione e partecipazione empatica della folla.

Credit video della lettura dei nome degli Ostaggi: Or Sitt su YouTube.

Musica sullo sfondo del video: il brano Tachzòr, presente anche nel Progetto 710.


(2) In ebraico Yatzmìchu, letteralmente “faranno crescere”, riferito a piante.

Qui si è preferito “germogliare” per indicare in modo chiaro che la crescita è quella di una pianta e non di altro.

Kalanìt Adumah sticker
La Kalanìt Adumah in un adesivo commemorativo.

(3) Sia l’anemone, sia il mandorlo, sono piante che -nel contesto culturale israeliano- evocano associazioni d’idee:


3a) L’anemone (rossa), in ebraico Kalanìt Adumàh, caratterizza la zona del Sud d’Israele colpita il 7/10. Una splendida fioritura di questo fiore riempie i campi della zona proprio nel periodo autunnale in cui ha avuto luogo la strage. Il fiore Kalanìt Adumah è quindi spesso utilizzato per indicare quella zona e -dal 7/10- è anche utilizzato in ambito commemorativo. 


3b) In Terra d’Israele la fioritura del mandorlo  avviene verso i primi di Febbraio. Nella cultura locale, è considerata l’annuncio dell’arrivo della primavera.

In tal senso è conosciutissima la canzone per bambini “HaShkediàh poràchat” (Il mandorlo fiorisce) di Menashè Rabina su testo di Israel Dùshman.

Si tratta di una allegra canzoncina che parla della festa di T”u BiShvàt (15 del mese di Shvàt) chiamata anche  “Capodanno degli Alberi”.

T”u BiShvàt è una festa che non è prescritta nella Bibbia, ma viene istituita in seguito, nel periodo della Mishnàh (Secondo-Terzo secolo E.V.).

Oggi la festa ha un carattere ecologico e di legame con la Terra d’Israele. Celebra l’inizio della primavera e le primizie. A scopo didattico è d’uso a T”u BiShvàt portare i bambini a piantare alberi.


(4) “Fioriranno al loro ritorno”.

Al ritorno di chi? E che significa “ritorno"?


In ebraico: LeShuvàm (al loro ritorno) dal verbo Shu”v, LaShu”v (tornare).

Oltre al significato letterale di moto a luogo, questo verbo ha altri significati rilevanti nel contesto di questo brano. Tra questi vanno evidenziati:


4a) La c.d. Teshuvàh (ritorno): un processo intimo, logico-emozionale, di presa di responsabilità e intenzione di migliorare se stessi. La progettualità positiva di un processo di Teshuvàh genuino può aver luogo solo in seguito a consapevolezza, elaborazione dei propri comportamenti e a un esame di coscienza, ovvero al c.d. Cheshbòn HaNefesh (alla lettera “rendiconto dell’anima”).

Potenzialmente ogni momento della vita -ebraica e non- è buono per compiere (o almeno iniziare) un processo di Teshuvàh. Tuttavia, con la sua tipica tendenza operativa, la cultura ebraica ha istituito una ricorrenza solenne -Yom Kippùr- totalmente dedicata a questo processo logico-emozionale e alla sua progettualità, di modo venga svolto dall'ebreo almeno una volta l’anno.


4b) Il ritorno a casa dei soldati dal fronte e degli Ostaggi; centinaia di persone rapite da Hamàs il 7/10, ebrei e non, israeliani e non.

La tragica vicenda degli Ostaggi è motivo di profondo coinvolgimento emozionale ed operativo all’interno della società israeliana. In tal senso, nell’ambito del Progetto 710, si vedano tutti i brani, con relativi commenti, presentati nella categoria Hostages: https://www.songs710.com/song-categories.


Perciò, il ritorno di chi consentirà la fioritura?

Dei soldati alle proprie case? Il ritorno degli Ostaggi?

O forse il ritorno -Teshuvàh- di tutto il Popolo d’Israele a un comportamento più integro, più solidale, più in linea con un’etica ebraica?

Tutte le risposte sono corrette.


(5) In ebraico: Lamàdnu, letteralmente “abbiamo imparato”.


(6) In ebraico, in entrambi i versi: Yad’anu, letteralmente “sapevamo”. Qui tuttavia è stato preferibile tradurre lo stesso verbo in due forme, con sfumature diverse.


(7) Il 7/10/2023 era Shabbàt (Sabato) e, inoltre, cadeva in Israele la festa di Sheminì ‘Atzeret - Simchàt Torah (Ottavo giorno di Radunanza - Gioia della Toràh) una delle ricorrenze più gioiose del calendario ebraico.


(8) In ebraico: Dal (povero, noioso, scarno, di poca entità).

Termine classico, che evoca testi biblici o liturgici. Tra questi in particolare in Samuel A, 2:8 “(Il Signore) Solleva il misero dalla polvere, dal letamaio innalza l’indigente (…)” e -molto simile- in Salmi 113:7.


(9) L’immagine delle volpi, intese come animali selvaggi che recano danno o che si avvantaggiano di un’area distrutta- proviene direttamente dalla Bibbia.


Nel Cantico dei Cantici 2:15 troviamo il verso :”Afferrate per noi le volpi, le piccole volpi che danneggiano le vigne, poichè le nostre vigne hanno già i primi frutti”.


Nel contesto del Cantico, che parla di rapporti d'amore, le volpi sono probabilmente una metafora per indicare quanto può minacciare il rapporto di coppia, l’idea invece delle volpi quali animali che si accompagnano alla distruzione emerge in modo chiaro nel Libro di Ekhàh, Lamentazioni. Questo narra infatti della distruzione di Gerusalemme e delle sue rovine: “Sul monte Sion, desolato, si aggirano le volpi” (Ekhàh 5:18).


In merito al Libro di Ekchàh, i suoi contenuti e l’accostamento tra la distruzione di Gerusalemme e la catastrofe del 7/10 si veda -nel progetto 710- anche il brano “Qinnàt Beèri” (L’elegia di Beeri), con la sua introduzione note alla traduzione


(10) Anche l’immagine della vigna -metafora di stabilità e pace - ha provenienza biblica.

Oltre al verso del Cantico ricordato nella precedente nota (9), tra le diverse citazioni la più significativa è probabilmente quella della visione di pace descritta nel Libro di Mikhàh: “(…) Nessuna nazione alzerà più la spada contro un’altra e non impareranno più l’arte della guerra. Ciascuno sederà sotto la propria vite e sotto il proprio fico, senza timore alcuno” (Mikhah 4:3-4).


(11) Secondo la tradizione ebraica l’essere umano fu creato ad immagine di D-o, secondo quanto è scritto nella Bibbia: “D-o disse poi: ‘Facciamo un uomo a immagine Nostra, a Nostra somiglianza (…)“ e “D-o creò l’uomo a sua immagine; lo creò ad immagine di D-o; creò maschio e femmina”, Genesi 2:26-27.


(12) In ebraico: Hèlem (trauma, shock, violento colpo).


(13) In ebraico: Higdàlnu chèsed (letteralmente: abbiamo fatto crescere Chèsed).


Chèsed è un termine che abbonda nella tradizione ebraica e nella sua liturgia. Comprende diversi concetti quali pietà, generosità, misericordia, gentilezza gratuita et similia. Ove nella tradizione ebraica vi sono numerose declinazioni e sfumature di questo termine, è significativo notare che in un solo caso il concetto di Chèsed è associato a quello di genuinità: Chèsed shel Emèt (vero Chèsed). Il termine Chèsed shel Emèt indica la cura volontaria dei defunti; in questo caso l’atto di generosità è considerato totalmente genuino e gratuito, dal momento che il beneficiario, il defunto, non potrà mai restituire la gentilezza e cura a lui elargita.

La cura del corpo del defunto è comunque atto di amore nei confronti del Signore, in quanto l’uomo è fatto ad immagine Divina; v.precedente nota (11).


In questa canzone il termine Chèsed viene utilizzato in virtù della sua capacità di evocazione liturgica e proprio per le sue molteplici accezioni.

Da un lato vi è certamente anche un riferimento anche a Chèsed shel emet, dolorosa opera svolta in modo zelante da organizzazioni di volontari; dall’altro vi è un indubbio riferimento alla quantità incalcolabile di atti spontanei di generosità e supporto reciproco emersi nell'ambito del coinvolgimento della società israeliana dopo il 7/10. Questi atti hanno nettamente caratterizzato le prime settimane e mesi della guerra, a beneficio di soldati, di riservisti richiamati, di sfollati o semplicemente di civili in difficoltà.


Una forma di Chèsed è infatti emersa nella società civile israeliana, sia attraverso atti di eroismo -Ghevuràh- nella giornata del 7/10, sia -in ambito civile- attraverso piccole iniziative e atti dei singoli, o in forma organizzata. Questo, in numerosi casi con capacità organizzative, gestionali e logistiche sorprendenti. Grazie a queste notevoli capacità autogestite, la società civile ha saputo -nel corso di settimane o mesi, a seconda delle aree di intervento- dare una risposta a numerose e drammatiche carenze organizzative delle istituzioni statali. Queste avrebbero dovuto svolgere funzioni che sono invece state autonomamente assolte dalla società civile, a fronte di latitanze e incapacità da parte del Governo in carica.


(14) Riferimento al nome ufficiale dato alla guerra iniziata dopo l’attacco a Israele del 7/10: Milchèmet Charavòt Barzèl (Guerra delle Spade di Ferro, Swords of Iron War).


(15) In ebraico Lo yashùvu reikàm (letteralmente: non saranno ritornate nel loro vuoto, non riceveranno risposte vuote, non torneranno a mani vuote). Espressione di origine biblica in cui ritorna anche il verbo Shu”v, di cui alla nota (4).

Cfr. Isaia 55:11 “Così sarà della Mia parola; essa non tornerà a Me senza aver fatto nulla, ma invece fa quello che Io voglio e mette ad effetto quello per cui Io l’ho mandata.”  e  Geremia 50:9 “(…) come un eroe molto abile, le cui frecce non sono lanciate invano”.


(16) Le seguenti tre strofe sono basate su un Pyùt (composizione poetica) nota come Hayòm Teametzènu (Oggi dacci coraggio; le parole del primo verso).

Le prime due strofe sono composte da versi estratti dal Pyùt originale, mentre la terza è stata scritta da Ishày Rìbo.


Il Pyùt Hayòm Teametzènu è una litania di origine indiscutibilmente antica, ma non è chiara l’esatta epoca di composizione e l’autore.

Come molti Pyut(ìm) è un inno in forma di acrostico. Nel rito Sefardita e Italiano, l’acrostico comprende tutte le lettere dell’alfabeto ebraico, mentre nel rito Ashkenazita comprende solo le prime e le ultime quattro.

Questo Pyùt viene cantato nella liturgia di Rosh HaShanàh (il Capodanno ebraico) e dello Yom Kippùr (v. precedente nota 4a).

Pyutìm at NLI, National Library of Israel

Link alla pagina dedicata all’originale Hayòm Teametzènu, nel sito della National Library of Israel, con registrazioni di origine e periodi diversi.


(17) In Israele una invocazione a proteggere i soldati non ha quei sottintesi retorici e nazionalisti che potrebbe avere in altri paesi. L’esercito è un esercito popolare: l’esperienza e i pericoli del servizio militare coinvolgono tutti, senza distinzioni tra gli strati sociali. Questo sia in modo diretto e operativo, per chi è richiamato alla leva o a Miluìm, il Servizio di Riserva, sia in modo indiretto, attraverso la preoccupazione dei famigliari di chi è operativo. La preoccupazione diviene quindi terreno comune di reciproca identificazione emozionale.

Purtroppo, in numerosi casi, diviene terreno comune emozionale anche il lutto per l’uccisione di un soldato o di un civile in seguito ad atti di terrorismo. Non vi è singolo o famiglia che non abbia perso qualcuno, in modo più o meno diretto.


(18) Il termine ebraico utilizzato è Shvuyènu (i nostri prigionieri) ma, nel contesto e nel periodo di pubblicazione del brano, è chiaro che l’autore si riferisce agli Ostaggi prigionieri di Hamàs a Gaza.

La vicenda degli ostaggi costituisce una dolorosa ferita all’interno della società israeliana e, al contempo, anche in questo caso si è creato un ulteriore terreno comune emozionale.

Per meglio capire gli aspetti emozionali di questa complessa vicenda, si vedano anche le canzoni presentate nel Progetto 710 nella categoria Hostages.


(18) In ebraico il verso recita Hamtzì lanu nechamàh (facci trovare consolazione). Si tratta della parafrasi di un verso -Hamtzì lanu mechilàh (facci trovare condono)- estremamente conosciuto, che fa parte della liturgia ebraica dello Yom Kippùr.


Il verso parafrasato da Ishày Rìbo fa parte della terzina che apre e fa da ritornello all’inno El Norà ‘alilàh (D-o Venerabile per il Tuo operato). Questo, nelle sinagoghe, apre la solenne ultima fase della preghiera dello Yom Kippùr, detta Ne’ilah (Chiusura).

Autore del celebre inno è lo spagnolo Moshè ibn ‘Ezrà, vissuto nell’undicesimo secolo.


El Norà ‘alilàh fa parte della liturgia di rito Sefardita, ma nel tempo è entrato anche nel Minhag HaItalkì, il rito Italiano. In quest’ultimo, la melodia ricorda quella di una carola natalizia, risultato evidente di influenze musicali non ebraiche. Questo tipo di influenze locali sono un fenomeno culturale che, nei secoli, caratterizza ogni comunità ebraica della Diaspora. Non emergono solo nella musica ma in ogni ambito: cucina, dialetti ebraici, modi di vestire e altro.

Link alla registrazione dalla Collezione Leo Levi, sul sito della National Library of Israel https://www.nli.org.il/he/items/NNL_MUSIC_AL997010744883105171/NLI


Link inoltre a una interessante esecuzione moderna -quasi una fusion jazz etnica- di El Norà ‘alilàh cantato con una delle melodie più conosciute del rito Sefardita.

Interpreti: la musicista Nèta Elkayàm e i musicisti Ravìd Kachlàni e Yigàl Harùsh e la sua ensemble.


Harùsh è presente nel Progetto 710 anche al brano “Qinnàt Beèri”. V. inoltre la precedente nota (9.




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