MA AVAREKH (2023) - Cosa augurargli? (2023)
- progetto 710
- 26 mar 2024
- Tempo di lettura: 10 min
Aggiornamento: 15 mag 2024
Rivisitazione di una canzone del 1968, uscita poco dopo la “Guerra dei Sei Giorni”. Il ritornello della canzone originale viene intercalato all’interno di un nuovo brano Rap creato da Lamour in seguito al 7/10. Entrambe le versioni parlano di un soldato, di cui è raccontata la crescita da bambino a giovane adulto, attraverso l’adolescenza.
AUTORE: Afek Lamour
STILE: Killing You Softly | Ansiogeno |
CATEGORIE: Shock / Lutto / Ansia | Rabbia / Confusione | Remakes | Guardando Avanti
USCITA: 7/12/2023, giorno 61 di guerra e prigionia degli ostaggi.
LINK al brano: https://youtu.be/XHNkIWkoFOI?si=MLEV8FIQUEcGfhDm
INTRODUZIONE:
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Il brano è la rivisitazione di una canzone uscita con lo stesso nome nel 1968, non molto dopo la “Guerra dei Sei Giorni” (Giugno 1967). Il brano attuale intercala il ritornello della canzone originale all’interno di un nuovo brano Rap creato da Lamour in seguito al 7/10.
Entrambe le versioni parlano di un soldato, di cui è raccontata la crescita da bambino a giovane adulto, attraverso l’adolescenza.
Nonostante la versione originale sia uscita nel 1968, la chiameremo qui, intenzionalmente, “versione post-’67”; per ribadire il suo legame con la guerra di allora. La versione post-’67 si conclude con un verso raccapricciante, che fa indirettamente capire che quello che prima fu un grazioso bambino prima -e dopo un dotato adolescente- viene ucciso una volta divenuto soldato.
Nella versione 2023, invece, la fine parla di speranza e guarda avanti: il soldato sopravvive, ma la sua crescita e vita sono segnate da perdite tragiche, a partire dal 7/10. Le rime in ebraico che descrivono queste perdite e il lutto che le accompagna -rinforzate dal coro basato sulla versione originale- sono particolarmente efficaci; un po’ un pugno sferrato allo stomaco in un periodo di angoscia innescato il 7/10 e che continua anche nei giorni in cui è redatta questa nota introduttiva, quasi cinque mesi dopo.
La versione post-’67 fu il primo brano pubblicato di Rachel Shapira (1945 - ), poetessa che negli anni diverrà l’autrice dei testi di molte altre canzoni di successo. La melodia è di un compositore altrettanto famoso in Israele, Yair Rosenblum (1944-1996).
Il brano originale fu eseguito nel 1968 dalla cantante Rivka Zohar, parte del gruppo musicale di Cheil HaYam, la Marina Militare Israeliana.
Nel commento (14) in calce, un videoclip della canzone fine anni ’60, con breve commento.

Rachel Shapira scrive il testo in memoria di un giovane caduto nel corso delle battaglie del 1967, Eldad (Dedi) Krook (v. foto), suo compagno di infanzia nel Kibbutz Shefaym.
La melodia malinconica e il testo drammaticamente tragico fanno da contrappunto alla grande euforia che caratterizzò per anni la schiacciante vittoria israeliana della Guerra dei Sei Giorni, ridimensionando tale euforia
Ma Avarekh post-’67 è tra le canzoni “più gettonate” nella categoria chiamata in Israele, informalmente, “Shirei Yom HaZikharòn” (Canzoni per il Giorno della Rimembranza): brani musicali struggenti per melodia -e tristi per contenuti- che accompagnano per radio e nelle cerimonie lo Yom HaZikhaòn, la giornata in cui si celebra il ricordo dei numerosi giovani caduti uccisi in Israele nel corso degli anni e delle vittime del terrorismo.

Una delle numerosissime espressioni ufficiali dello Yom HaZikharon è anche l’annuale emissione di un francobollo commemorativo. Quello emesso nel 2019 rende omaggio alla canzone post-’67.
La vittoria della Guerra dei Sei Giorni fu spettacolare, se non persino miracolosa. Ciò premesso non è azzardato considerare “Peccato di Hybris” la grande euforia post-’67, le cui tracotanze verranno in seguito punite dalla shoccante sorpresa dello scoppio della Guerra del Kippùr nel 1973.
Preoccupante, deludente e causa di rabbia è invece rilevare come Israele ha così poco imparato da quella “punizione”, come tragicamente dimostrato dalla inetta impreparazione alla sorpresa del sanguinoso attacco del 7/10/2023.
Indirettamente, il legame tra le due versioni della canzone ribadisce anche il legame tra due guerre distanziate tra loro 56 anni: 1967 e 2023. Le conseguenze della prima sono note; quelle della seconda non lo sono ancora.
AFEK LAMOUR è un giovane cantautore resosi noto nel 2019 attraverso The Voice, un programma televisivo che presenta giovani talenti. Da allora ha lasciato il lavoro presso la ditta di pulizie diretta dal padre (che per anni lo ha spronato a esercitarsi nella musica) per dedicarsi a tempo pieno alla propria carriera musicale.
TRADUZIONE, NOTE e COMMENTI:
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[Coro bambini. Parole e melodia della canzone originale post-’67]:
Cosa augurargli di buono, cosa riceverà in dono (1)
questo bimbo? (2) Chiese l’angelo. [x2]
[Rap moderato, recitativo. Versione 2023 di Afek Lamur]:
Chiudi gli occhi, bimbo, appoggia la testa su di me
Il fuoco brucia e l’odore ti è sconosciuto
La casa che amavi non sarà più com’era
Perdonami per non esser riuscito a mantenere
quanto ti avevo promesso
Avevo detto che ti avrei protetto da ogni sventura
e (invece) le sventure sono arrivate a raffiche (3)
senza preavviso.
Lo sai da solo cosa è successo
non è nemmeno più possibile raccontarti bugie
ed è strano, si vede dal tuo sorriso
che ti sforzi di far l’eroe
ma non è il tuo ruolo (4)
sono io che dovrei proteggerti
non il contrario
Guardami adesso
e non distogliere lo sguardo
siamo ancora sotto il fuoco (5)
Come ti sei fatto grande, troppo in fretta
non va bene
dovresti startene al parco (6)
e giocare con quegli altri bambini
che (ora) non posson più prendere
a calci il pallone
cantando “Sabato mattina, è una bella giornata” (7)
invece di “Sabato mattina, è un giorno maledetto”.
[Coro ragazzi. Versione post-’67]
Cosa augurargli di buono, cosa riceverà in dono (1)
questo fanciullo? (2) Chiese l’angelo. [x2]
[Rap moderato, recitativo. Versione 2023]
Maglietta nera strappata
s’è fatto adolescente proprio quest’anno.
Lacrime sulla guancia mai toccata da un rasoio
(8.) Una sedia di plastica e preghiere mai sentite prima
la misericordia sta negli alti cieli (ma) lui se ne sta la seduto in silenzio (9)
gli abbracci servono solo a ricordargli quel che ha perso
lo consolano
ed è carino ma non funziona
capisce già, ma non ha ben realizzato (10)
come è possibile al nome di tutti quelli che ha amato
(è ora necessario) aggiungere anche z”l (11)
[Coro ragazzi. Versione 1967]
Cosa augurargli di buono, cosa riceverà in dono (1)
questo ragazzo? (2) Chiese l’angelo. [x2]
[Rap moderato, recitativo. Versione 2023]
Vestito color khaki, fucile canna corta, sorriso lungo
Un combattente pieno di energia
e al contempo di tenerezza
Concluso l’addestramento, dritto a combattere
Papà fiero che prega “Mio D-o proteggilo”
Quella notte lui e tutta la squadra
eseguono il controllo di un’area
Il comandante grida “pulito” (12)
(ma) all’improvviso un sibilo
non passa un minuto che in piedi c’è rimasto solo lui
Era entrato “soldato”,
è ritornato “soldato solo” (13).
[Coro adulti. Versione 1967]
Cosa augurargli di buono, cosa riceverà in dono (1)
quest’uomo? (2) Chiese l’angelo. [x2]
Cosa augurargli di buono, cosa riceverà in dono (1)
quest’uomo? (2) Chiese… [l’usuale fine del verso è troncata]
[Rap moderato, recitativo. Versione 2023]
Apri gli occhi bimbo
guarda il sorger del sole
Ci han dato in dono la vita
si è vero - sarà ancora doloroso
ma non ci porteranno via la speranza.
[Coro che alterna le precedenti voci di età diverse. Versione post-'67]
Cosa augurargli, cosa dargli in dono…? [x4]
NOTE e COMMENTI:
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(1) In ebraico “Ma avarekh lo, ba-me yevorakh” (letteralmente “Cosa augurerò (di buono) a lui, di cosa sarà dotato?”.
La parola utilizzata per usare l’augurio positivo è basata sulla stessa radice verbale (b-r-kh), su cui si basano anche parole quali “benedire” e “benedizione”. La domanda, posta nella canzone da un angelo, sottintende un dono o una dote dati dal Cielo. Ad es.: l’espressione per indicare una famiglia con numerosi figli è “Mishpachà brukhat-yeladim”, “Famiglia-benedetta-di-bambini”.
(2) Nel corso del testo della canzone (sia nella versione post-'67, sia 2023) l’angelo rivolge la propria attenzione ad un soggetto definito con termini che indicano progressivamente età diverse, in crescita:
Yeled (bambino) | Na’ar (fanciullo) | ‘Elem (ragazzo, giovane uomo) | Ghèver (Uomo adulto).
(3) In ebraico “Be-tzroròt”, pl. di “be-tzròr” (a raffica). In ebraico moderno, come in italiano, “raffica” indica sia “qualcosa che arriva in modo veloce e sequenziale”, sia “serie di colpi di arma da fuoco”. L’uso di questa specifica espressione metaforica (anzichè ad es. “una dietro l’altra”) è ovviamente intenzionale per indicare la strage del 7/10.
(4) Nel testo ebraico “achraiutkhà”, termine che può indicare “ruolo” ma significa, in primo luogo, “responsabilità”.
(5) In ebraico “BiSdè HaKrav”, letteralmente “sul campo di battaglia”..
(6) In ebraico “gan”, termine che indica “parco, giardino” ma anche l’asilo per bambini (come “giardino d’infanzia” in italiano).
(7) Riferimento all’allegra canzone di successo “Shabbat BaBòker” (Sabato mattina), parte di un disco di canzoni per bambini (e adulti un po’ sognanti) uscito nel 1989. Parole: Tirza Atar. Musica: Yoni Rechter.
Nella canzone un bambino (o bambina, a seconda dell’esecuzione) racconta una serie di attività che ama fare il sabato mattina con la famiglia.
In questo commento, link ad un arrangiamento che -pur non essendo quello originale- è illustrato con un’animazione che consente in linea di massima di capire il contenuto della canzone.
(8) Da questo verso -e sino al termine della strofa- il fanciullo è nel c.d stato di “Shiv’à”.
Il termine ebraico “Shiv’à” (sette, in forma maschile) indica -oltre al numero- anche la settimana di lutto stretto che la tradizione ebraica impone a chi perde un parente stretto (genitore, figlio, fratello/sorella).
Nel corso della settimana di shiv’à la persona in lutto si astiene da qualsiasi attività ordinaria e “siede in casa”, oggetto delle attenzioni di chi lo circonda e di chi si reca a porgere condoglianze. La “settimana” è la prima di tre fasi temporali -Settimana / Primi 30 giorni / Anno- che accompagnano progressivamente la persona in lutto, con norme che segnano un percorso di elaborazione della perdita subita.
Secondo la tradizione ebraica, al termine dell’anno la persona in lutto non solo non ha più l’obbligo di osservarlo, ha bensì il dovere di non indulgere nel mettere in pratica quelle non auspicabili norme. La regola pratica di un ricordo del defunto, attraverso un’azione da svolgere, si limiterà da quel momento alla commemorazione dell’anniversario della scomparsa.
La norma che impone di non indulgere nelle pratiche di lutto è in linea con il principio ebraico di scegliere, privilegiare e santificare innanzitutto la vita. Ove logicamente non è materialmente possibile limitare i sentimenti di una persona -e quindi anche la malinconia del ricordo di chi ci è caro- è però possibile tentare di evitare comportamenti pratici che rischiano di innescare o perpetuare una spirale depressiva. Questo non sottintende una rimozione totale, o una mancanza di rispetto nei confronti dello scomparso, dato che comunque permane la norma del ricordo e omaggio attraverso l’anniversario. Tuttavia intende sottolineare la necessità di guardare e andare avanti, essendo la vita un dono dato all’uomo dal Signore.
È perciò in linea con questo spirito che la canzone, nella versione 2023, si conclude con uno sguardo in avanti, consapevole che “sarà ancora doloroso, ma non ci porteranno via la speranza”.
(9) In ebraico l’ordine e il ritmo delle parole di questo verso ammiccano ad una doppia lettura del significato e fanno sorgere un dubbio: chi è il soggetto seduto in silenzio? Il fanciullo o forse Il Signore?
La prima lettura, letterale e logica, indica che colui che siede è il fanciullo: siede infatti in Shiv’à (v. nota precedente). Tuttavia, a causa del ritmo serrato del Rap, è anche avvertibile un’espressione che in certe preghiere indica il Signore: Yoshèv BaMeromim (Colui che siede negli alti cieli). L’ordine delle parole è invertito e diviene quasi un “BaMeromìm Hù Yoshèv”, espressione che in preghiere può anche indicare il Signore.
La doppia lettura è provocata dall’ordine di due parti del verso. Questo inizia recitando “HaRachamìm BaMeromìm” (la misericordia è negli alti cieli), ma subito dopo la parola “BaMeromim” si attacca a “VeHù Yoshev Sham BiDmamà” (e lui se ne sta la seduto in silenzio).
Pur essendo “Hù” (lui) preceduto dalla congiunzione “Ve” (e-) -che lo stacca- è plausibile anche una seconda lettura -anzi, un secondo ascolto- che produce un ammiccato “Colui che siede negli alti cieli se ne sta seduto la in silenzio”.
La provocativa domanda “Dov’era D-o il 7/10?” (che rieccheggia la più nota questione “Dov’era D-o durante la Shoàh) è infatti sorta in Israele nella conversazione odierna, assieme ad altre domande fideistiche, o a soggetto trascendentale, quali ad es. “Cosa voleva, vuole, farci capire D-o attraverso lo shock del 7/10?’.
In senso analogo si veda anche un’altra canzone del Progetto 710: Ein Nechamà di ElyatTzur.
(10) Per dire “non ha ben realizzato”, il testo in ebraico usa un’espressione informale: “ha-asimòn ‘od lo nafàl” (il gettone non è ancora andato giù).
In Israele l’espressione è nata nel periodo in cui erano ancora in uso i telefoni pubblici a gettone: la risposta all’estremo opposto della linea chiamata faceva cadere il gettone inserito nell’apparecchio. La caduta del gettone interrompeva il suono cadenzato di attesa udibile nella cornetta e -soprattutto- dava il via alla telefonata vera e propria, stabiliva la comunicazione.
L’espressione metaforica è ancora ampiamente in uso, pur essendo oggi anacronistica da un punto di vista tecnologico e etimologicamente evidente solo da una certa età in su.
(11) In ebraico “ z”l “ è acronimo dell’espressione “Zichronò Livrachà” (il suo ricordo sia di benedizione). Si pronuncia: “zal”. È uso molto diffuso aggiungere questo acronimo dopo il nome di una persona defunta.
Nel testo fa rima con la parola “nafàl”, di cui alla nota precedente.
(12) In ebraico “nakì” (pulito). In azione, si grida per indicare che il luogo esaminato non presenta pericoli.
Generalmente, se il luogo è divenuto “nakì” in seguito ad uno scontro a fuoco in cui si è avuta la meglio, si grida “tuhàr” (bonificato, purificato).
(13) In ebraico “Chayàl bodèd” (soldato solo). Nell’esercito israeliano -Tzaha”l- il termine qualifica il soldato (o soldatessa) che non ha famiglia stretta in Israele; una situazione molto comune presso i numerosi giovani soldati immigrati. Al “soldato solo” sono garantiti alcuni supporti di carattere materiale (e spesso è anche oggetto di affetto da parte delle famiglie di altri soldati).
L’uso poetico di questa qualifica non è esattamente aderente alla situazione descritta nella strofa: il soldato -che evidentemente è il ragazzo delle strofe precedenti- è in effetti un “soldato solo” in quanto è l’unico sopravvissuto della propria famiglia, tuttavia l’essere unico sopravvissuto del proprio plotone non sarebbe ciò che lo qualifica per lo stato formale di “soldato solo”.
Questa distinzione, tuttavia, è solo tecnica e pedante: il termine “soldato solo”, infatti, marca un’ulteriore solitudine, risultato del sovrapporsi della perdita della famiglia vera e propria alla perdita degli amici commilitoni. Questi sono vissuti come una nuova famiglia -una situazione molto comune nell’esperianza di Tzaha”l- che viene anche questa persa in circostanze tragiche, proprio come la famiglia originale, vera e propria.
(14) Clip che presenta la versione originale uscita nel 1968, cantata da Rivka Zohar e dal gruppo musicale di Cheil HaYam, la Marina Militare Israeliana.
Il filmato conclude il film “La guerra dopo la guerra” (1969) del filmmaker e regista Micha Shagrir (1937-2015).
Al termine di una proiezione celebrativa del film, tenutasi pochi mesi prima della morte del regista, Shagrir raccontò che anche il bambino dell’ultimo fotogramma, che in un lungo fermo-immagine guarda lo spettatore, divenuto adulto cadde poi in combattimento, a distanza di anni da quando fu prodotto il film.