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ANÀCHNU LO TZRIKHÌM (Non abbiam bisogno di nient’altro)

  • Immagine del redattore: progetto 710
    progetto 710
  • 27 apr 2024
  • Tempo di lettura: 8 min

Aggiornamento: 24 dic 2024

Sin dal 1970, un brano che -con arrangiamenti diversi- ha espresso nostalgia per chi non è più e per chi è prigioniero.


AUTORI: Testo: Avi Kòren. Musica: Shmuel Imberman. Canta: Shlomo Artzi.

STILE: Killing you Softly o Adrenalinico (S), a seconda dell’arrangiamento  |

CATEGORIE: Shock, Lutto, Ansia  |  Hostages  |  Remakes  |

USCITA: 25/10/2023, giorno 18 di guerra e prigionia degli ostaggi.

APPENDICI in CALCE: 1) Arrangiamenti diversi del brano + 2) Note e link riguardanti la canzone Gèshem Be'Itò


INTRODUZIONE:

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18 giorni dopo quel maledetto 7/10/2023 Shlomo Artzi -tra le colonne portanti della musica popolare israeliana- ripropone un classico del suo repertorio: Anàchnu lo tzrichìm (Non abbiam bisogno di nient’altro).  La canzone viene registrata in un’ambito apparentemente paradossale: durante una puntata di “Eretz Nehederet” (Un paese stupendo) uno dei più popolari e graffianti programmi di satira della Rete 12 della TV israeliana. (1)


Artzi registra la canzone, accompagnato dalle star del programma, mentre su schermi posti sullo sfondo dello studio scorrono immagini che contestualizzano il testo della canzone: prevalentemente vedute del sud, con i caratteristici fiori rossi kalanyot (anemoni), paesaggi classici di una Israele agricola o soldati in situazioni diverse. Quest’ultimi sono stati arruolati -o sono accorsi volontariamente- dopo il traumatico attacco subito da Israele il 7/10/2023: sono per tutti oggetto di orgoglio ma soprattutto di preoccupazione.

L’immagine tuttavia che più di tutte fornisce l’attuale chiave di lettura del

brano arriva alla fine: il fitto tabellone di ritratti dei 253 ostaggi rapiti, prigionieri a Gaza dal 7/10. Questi compaiono in coincidenza con gli ultimi versi della canzone:

“e fa si che possiamo rivederlo di nuovo

a parte questo non abbiam bisogno di nient’altro”.


Il brano Anàchnu lo Tzrichìm esce per la prima volta nel 1970, parte del primo LP inciso da Artzi. Pur divenendo negli anni autore di talento, all’inizio della propria carriera Shlomo canta soprattutto canzoni composte da altri, come in questo caso.

Anàchnu lo Tzrichìm è nata infatti un paio di anni prima, quando il compositore Shmuel Imberman, che -improvvisamente immaginata la melodia del brano-  propone al compositore e regista Avi Koren di scrivere un testo che si adatti a quella melodia, che quasi lo ossessionava. Koren, entusiasta, scrive -anch’egli di getto- un testo ispirato al ricordo di un suo carissimo amico: Elièzer Grunlander, caduto nel 1967 nel corso della Guerra dei Sei Giorni.


Nel corso dei 54 anni successivi -sino alla versione qui proposta- la canzone mantiene sempre un ruolo di preghiera semi-laica per il ritorno possibile -o impossibile- di chi è forzatamente lontano. Infatti, oltre ad essere talvolta eseguita in cerimonie per caduti, il brano viene proposto durante campagne pee la liberazione di ostaggi precedenti a quella attuale: nel 2006 per Ehùd Goldwàsser e Eldàd Regev -rapiti e uccisi da Hezbollah in Libano- e di Gil’àd Shalìt, rapito da Chamàs nello stesso anno e rimasto prigioniero a Gaza nei diversi anni successivi..


Sino all’arrangiamento attuale, la canzone viene registrata da Shlomo Artzi in due altri principali versioni (qui riportati nei commenti di FB a corollario del post): quello originale del 1970 -più lento e delicato- e un’altro nel 1998, più ritmato ed energicamente drammatico. Quest’ultimo ha rilanciato la canzone ottenendo un successo di gran lunga maggiore dell’iniziale versione del 1970.

L’arrangiamento dell’Ottobre 2023 -quello qui proposto come versione principale nell’ambito del Progetto 710- si colloca invece a metà tra i due precedenti, in termini di ritmo ed energie. Tuttavia è probabilmente il più toccante da un punto di vista di significati diretti.


In uno dei Commenti di FB link a un videoclip della stessa versione, ma con immagini backstage prese nel corso della registrazione nello studio del programma TV “Eretz Nehederet”.


SHLOMO ARTZI è nato nel 1949 in un piccolo kibbutz nella Valle d’Izreel, nel Nord d’Israele, da genitori immigrati in Romania sopravvissuti all’Olocausto (la madre ha anche attraversato l’internamento ad Auschwitz e ha perso il primo marito e un figlio).

Nel 1956 la famiglia si trasferisce a Tel Aviv, dove Shlomo cresce e vive ancora oggi.

La sorella Nava, nata nel 1954, diviene scrittrice, poetessa e commediografa di successo (Nava Semel) e si occupa principalmente di temi legati alla complesse esperienze emozionali della “Seconda Generazione”, ovvero dei figli dei sopravvissuti all’Olocausto. Per Shlomo, Nava rappresenta una delle migliori amiche e confidenti, sino alla sua morte piuttosto prematura avvenuta in seguito a una malattia nel 2017.


Artzi inizia a cantare all’età del liceo con un suo piccolo gruppo di coetanei, ma passa alla carriera professionale nel corso del servizio militare: arruolato inizialmente nei commando e poi in Marina, in seguito ad un’incidente, durante il quale riporta ferite, viene trasferito al complesso musicale dell’arma, dove emerge agli occhi di un pubblico più ampio il suo talento canoro e una sua notevole capacità di presenza sul palcoscenico.


Shlomo esce con successo sul mercato nel 1970, grazie al suo primo LP e -tranne una caduta di popolarità a metà degli stessi anni Settanta- la sua carriera ha visto da allora una costante crescita sia in termini di successo, sia di maturità artistica. Rilanciatosi nel 1978, quando era sull’orlo di gettare la spugna dopo i pochi anni di insuccesso, fa oggi parte dei cantanti e autori entrati nel Pantheon della canzone israeliana popolare ma venata d’intellettualismo.

Con voce calda, talvolta con tono amaro e romantico, scrive e canta testi piuttosto complessi e non sempre pienamente chiari, ma comunque suggestivi e che in genere intendono destare associazioni d’idee o -più semplicemente- sensazioni.


TRADUZIONE, NOTE e COMMENTI:

————————————————

Già (2) si son asciugati i nostri occhi (dopo) le lacrime,

e la nostra bocca è ormai (2) rimasta muta, senza voce.

Cos’altro possiamo chiedere,

dimmi: cos’altro?

Abbiam (già) chiesto quasi tutto.


Manda (3) la pioggia (ma) solo al momento giusto (4a) (4b)

e in primavera ricoprici di fiori, (5)

e fa sì (3) che lui ritorni a casa,

a parte questo (6) non abbiam bisogno (di nient’altro).


Già abbiam provato il dolore di mille cicatrici,

e nel profondo abbiam nascosto un sospiro.

Già si son già asciugati i nostri occhi (dal troppo) pianto,

dicci che abbiam già superato la prova.


Manda (3) la pioggia (ma) solo al momento giusto (4a) (4b)

e in primavera ricoprici di fiori, (5)

e fa sì (3) che lei (possa) star di nuovo con lui

a parte questo (6) non abbiam bisogno (di nient’altro).


Già abbiam ricoperto più di un tumulo, (7)

(e) abbiam sepolto i nostri cuori tra i cipressi.

(Un) sospiro sgorgherà tra poco

accettalo come una preghiera molto personale.


Manda (3) la pioggia (ma) solo al momento giusto (4a) (4b)

e in primavera ricoprici di fiori, (5)

e fa si che possiamo rivederlo di nuovo

a parte questo (6) non abbiam bisogno (di nient’altro).


————————————————

NOTE e COMMENTI:

(1) Link a un videoclip con immagini backstage prese nel corso della registrazione nello studio del programma TV “Eretz Nehederet”.


(2) In apertura di ogni strofa della canzone viene usato l’avverbio ebraico “Kvàr”.  Questo ha diverse sfumature di significato, che -a seconda del contesto- emergono nel testo della canzone: “già” o “ormai”.

L’avverbio viene anche usato come rafforzativo in esortazioni o in imperativi (non presenti nel testo di questa canzone). Es. : “Zuz kvàr!” (E muoviti!); “Tafsìk kvàr!” (Eddai, falla finita!).


(3) Viene qui utilizzata la parola “Ten”, imperativo o evocativo del verbo “LaTet” . Questo ha diverse sfumature di significato, a seconda del verso della canzone: “Dare”, ma anche “concedere”, “mandare”, “fare in modo che—, far sì che—“.


(4) In ebraico: “Et HaGèshem ten rak Be’Itò” (letteralmente: La pioggia dai solo al suo tempo) ove Be’Itò (al suo tempo) significa “al momento giusto”.


(4a) L’importanza del giusto timing.

La consapevolezza che la concessione da parte del Signore di certi fenomeni naturali (quali pioggia, rugiada, etc.) è necessaria, auspicata e gradita MA SOLO al momento giusto, emerge nell’ebraismo in momenti e brani diversi.

Un esempio, tra i più noti:

In Deut. 11;14 “VeNatatì metàr artzechèm Be’Itò yorèh uMalkòsh…” (Concederò alla vostra terra la pioggia a suo tempo, quella autunnale e quella primaverile…).

Nel verso è il Signore a parlare: rivolgendosi ai Figli d’Israele D-o ricorda alcune delle ricompense che elargirà a fronte di un comportamento retto da parte del Suo popolo.

Qui l’importanza non solo della pioggia in sè e di un suo arrivo con giusto timing (ma  anche del tipo di pioggia) è evidenziata non solo dall’uso del termine “Be’Itò” ma anche dalla distinzione tra “yoreh” (prima pioggia autunnale) e “malkòsh” (pioggia primaverile).

Il verso fa parte del secondo brano del c.d. Shemà Israel, la preghiera più conosciuta  dell’ebraismo. Questa -attraverso la parziale citazione di tre diversi capitoli della Toràh (il c.d. Pentateuco)- ribadisce la assoluta importanza del concetto di Monoteismo e sancisce alcune centrali Mitzvòt (precetti) che accompagnano la vita quotidiana del Popolo Ebraico.


(4b) “Gèshem Be’Itò” è anche il nome di un’altra canzone, ben conosciuta in Israele e anche questa nata in seguito ad una guerra, seppur con significati diversi.

v. link e nota introduttiva nell'Appendice 2.


(5) In ebraico, alla lettera: “pazèr lànu prachìm” (spargi per noi fiori).


(6) In ebraico, alla lettera: “yotèr MiZè” (più di questo).


(7) In ebraico, alla lettera: “tel”.

Il termine “tel” rappresenta qualsiasi elevazione del terreno, formatasi in conseguenza dell’operato umano. Equivale perciò a termini quali “tumulo”, o “collina artificiale”, ma è anche un termine usato per indicare, in un sito archeologico, un rialzo del terreno formatosi a causa di strati di costruzione diversa.

La declinazione più conosciuta del termine è probabilmente all’interno del nome di città Tel Aviv (Collina della Primavera).



Appendice 1:
Arrangiamenti diversi del brano, usciti negli anni precedenti


Primi anni '70

Il primo arrangiamento della canzone -più lento e delicato- in una registrazione dei primissimi anni ’70, alla TV di Stato israeliana.




Videoclip narrativo, anni '70

Un’altro arrangiamento dei primissimi anni ’70, corredato da un primo videoclip che -attraverso le immagini- indica in modo più esplicito che la persona di cui si auspica il ritorno è un soldato. Nel videoclip non emerge, tuttavia, la nostalgia per l'amico caduto, il motivo che ispirò Avi Koren, l’autore del testo della canzone (v. sopra l’Introduzione al brano).


1988, più ritmato ed energicamente drammatico.

Oltre al proprio contenuto originale, il brano contiene due citazioni -testuali e musicali- L’arrangiamento del 1988, più ritmato ed energicamente drammatico. Quest’ultimo ha rilanciato la canzone ottenendo un successo di gran lunga maggiore dell’iniziale versione del 1970.



Versione dalla Radio Nazionale

Logo of NLI National Library of Israel

Registrazione dalla Radio Nazionale (anni '70 - ?) alla pagina dedicata alla canzone nel sito della NLI - National Library of Israel.


Appendice 2:
La canzone GÈSHEM BE’ITÒ (Pioggia al momento giusto) del 1974.

AUTORI: Testo: Talma Aligon. Musica: Kobi Oshràt. Canta: Ruti Navòn.


Altra canzone, altra guerra, stesso uso dell’espressione “Gèshem Be’Itò” (Pioggia al momento giusto).

Il conflitto è la Guerra del Kippur (1973) e l’espressione viene usata con un’intenzione poetica diversa.


Durante quella guerra, esattamente cinquant’anni prima del 7/10/2023, l’autrice Talma Aligòn e la cantante Ruti Navòn compiono un tour, come molti altri artisti, per sostenere con il loro canto i soldati impegnati sui diversi fronti e confortare i feriti.

In un servizio televisivo d’archivio (link in calce) Talma racconta:


“(..) Fu un tour molto difficile. Ricordo gli occhi malinconici dell’Ufficiale di Collegamento che ci accompagnava e tutto quel che vedevo (al fronte)…”.


Prosegue Ruti: “(…) soldati nelle trincee… al riparo in posti diversi… Chiaramente c’erano anche feriti, e all’improvviso… si mise a piovere! “.


Riprende Talma: “Oh, sapevo che era un problema per i soldati; ma alla pioggia di questo non glie ne importava proprio niente… Se ne veniva giù, la pioggia! (…)

E così scrissi una specie di lettera ad un ragazzo che stava al fronte:

‘Dolce pioggia, bacialo per me’.

Facevo uso della pioggia perchè questa lo baciasse… per accarezzarlo… (era come se dicessi a D-o) ‘Hai portato la pioggia al tempo giusto? Beh adesso riportami indietro anche lui, il (mio) ragazzo! Lo voglio indietro! Non voglio che rimanga li! (…)’ “


Prosegue Talma: “(Ho usato qui) il termine ‘Pioggia al suo tempo’ in modo un po’ cinico… Non ha davvero aspettato fosse il momento giusto (per far piovere)! Quei soldati non meritavano di starsene li nelle trincee, a prendersi le bombe e… (dovevano pure star li a prendersi la pioggia!)…

In modo accennato (si tratta di) una canzone contro la guerra (…)”.


Link al servizio televisivo dedicato alla canzone Geshem Be’Itò del 1974 (Pagina FB della Rete TV Kan 88):


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