top of page
share

ACCORDO OSTAGGI (1). CONTRO: NITZACHTI BEDAMÌ (Ho vinto col mio sangue)

  • Immagine del redattore: progetto 710
    progetto 710
  • 15 mag 2024
  • Tempo di lettura: 8 min

Aggiornamento: 24 dic 2024

2 POST, 2 CANZONI il cui accostamento rappresenta due opposte posizioni in merito a un tragico dilemma: in che modo ottenere la liberazione dei c.d. Chatufìm, degli Ostaggi?

A partire da quel maledetto 7/10, un lacerante dibattito ha ferito la società israeliana in merito all’eventuale possibilità di ottenere la liberazione dei Chatufìm (rapiti) tenuti in ostaggio a Gaza da Hamàs per vie negoziali e a caro prezzo.

Link al post TACHZÒR TACHZÒR (Ritorna ritorna) che presenta la posizione opposta.


Post 1, "contro: NITZACHTI BEDAMÌ (Ho vinto col mio sangue)

AUTORE: Benyamin Luria, su testo del testamento di Elkanà Wiesel z”l (1)

STILE: Killing you Softly

CATEGORIE: Hostages | Rabbia e Confusione  |  Patriottismo e Propaganda  |

USCITA: 221/02/2024, giorno 137 di guerra e prigionia degli ostaggi e trentesimo dalla morte (2) di Elkanà Wiesel.


INTRODUZIONE ai due post:

————————————

Un lacerante dibattito: Chatufìm (rapiti) è il termine ebraico utilizzato in Israele per indicare 253 persone -uomini, donne, bambini, anziani, ebrei e non ebrei, israeliani e non- che il 7/10/2023 sono state rapite da terroristi palestinesi e tenute in ostaggio a Gaza da quella data.

Una parte dei 253 è stata in seguito riscattata; una parte uccisa. Nel corso dei mesi sono emerse testimonianze e prove indicanti condizioni di prigionia durissime, torture e violenze sessuali a danno degli ostaggi. Il numero degli stessi rimasti in vita è andato inoltre gradualmente riducendosi.


Il lacerante dibattito in merito ai negoziati, ha purtroppo subito una crescente politicizzazione. Settori diversi, governativi e antigovernativi, hanno trasformato (anche) l’argomento “Ostaggi” in arena di scontro tra parti.

Manifestazioni di piazza contrarie alla liberazione degli ostaggi attraverso vie negoziali disponibili al pagamento di cari prezzi di ordine tattico, si sono contrapposte a manifestazioni favorevoli a priori a qualsiasi tipo di negoziato e alla conclusione di un accordo a qualsiasi prezzo.

Il dibattito si è spesso trasformato in litigio pilotato, in canale di sfogo dei contrasti tra parti e visioni politiche non necessariamente o direttamente connesse con l’oggetto stesso del dibattito.


Al contempo, le famiglie degli ostaggi prigionieri si sono organizzate in gruppi diversi, per promuovere -o meno- la liberazione dei propri cari attraverso tattiche, azioni, argomentazioni e messaggi di tipo diverso.

Le famiglie dei Chatufìm hanno ricevuto il supporto da parte di settori del pubblico e da organizzazioni che, a loro volta, si identificano con le rispettive diverse posizioni in merito alla natura delle trattative, dei rischi da affrontare e degli eventuali prezzi da pagare.


Il contrasto tra visioni diverse in merito alle trattative con terroristi e al prezzo dovuto per la liberazione di uno o più ostaggi non è una novità. La società israeliana ha dovuto più volte affrontare queste situazioni in passato, ma mai in ordini di grandezza e complessità come quelli emersi dopo 7/10/23, nè sotto la pressione causata da combattimenti ancora in corso.


L’oggetto principale di contrasto è sempre il prezzo -tattico e morale, non pecuniario- richiesto dai terroristi per la liberazione dell’ostaggio.

Questo comprende sempre:

a) la liberazione -in numero ampiamente non proporzionato- di terroristi in carcere in Israele;

b) la scelta di quali terroristi liberare, ovvero i motivi -o l’efferatezza dei delitti- che hanno condotto il terrorista in carcere;

c) le conseguenze -a breve e lungo termine- di tale liberazione.


Non è certo questa la sede per approfondire questo complesso e doloroso argomento. Il Progetto 710 vuole sottolineare però che -all’interno della società israeliana- non vi è assolutamente un’uniformità di opinioni in merito alla strada da percorrere.


È tuttavia importante sottolineare che questa mancanza di uniformità non necessariamente indica qualità diverse di partecipazione al dolore degli ostaggi e alla straziante situazione delle loro famiglie.

Sicuramente, inoltre, la diversità di posizioni non rappresenta in alcun modo una mancanza di autoidentificazione nell’ostaggio e/o nel suo famigliare: questo perchè, ognuno in Israele sa bene che egli stesso avrebbe potuto -e potrebbe- trovarsi nella stessa tragica situazione.

Infatti, come dimostrato dalla realtà dei fatti, Hamàs nel suo uccidere e prendere in ostaggio non ha fatto nessuna distinzione tra ebrei, mussulmani, cristiani, drusi, arabi, laici, religiosi, persone con questa o quell’altra posizione politica, cittadini israeliani o di stati esteri.


Un brano “CONTRO”: NITZACHTI BEDAMÌ (Ho vinto col mio sangue) dichiara in modo esplicito il rifiuto di liberare terroristi per ottenere il rilascio di ostaggi.


Link al post TACHZÒR TACHZÒR (Ritorna ritorna) che presenta la posizione opposta.


NITZACHTI BEDAMÌ (Ho vinto col mio sangue)

AUTORE: Benyamin Luria, su testo del testamento di Elkanà Wiesel z”l (1)

STILE: Killing you Softly |

CATEGORIE: Hostages | Rabbia e Confusione  |  Patriottismo e Propaganda  |

USCITA: 221/02/2024, giorno 137 di guerra e prigionia degli ostaggi e trentesimo dalla morte (2) di Elkanà Wiesel.


INTRODUZIONE:

————————————

In questo brano il cantautore Benyamin Luria ha messo in musica un messaggio lasciato da Elkanà Wiesel z”l (1), ritrovato dopo la sua morte avvenuta in servizio a Gaza il 22/01/2024

Caduto a 35 anni, Elkanà ha lasciato moglie, quattro figli, genitori e fratelli.

Le parole del ritornello nel testo del brano sono prese dal Cantico dei Cantici.


È normale far testamento a vent’anni?

No, non è normale nè dovrebbe esserlo, ma dal 7/10 è divenuto usuale -quasi un trend- tra le migliaia di giovani israeliani di leva, o richiamati -o volontari- in servizio di riserva.

Negli zaini, nei cellulari, in messaggi WhatsApp di tanti -troppi- giovani uccisi sono stati ritrovati veri e propri testamenti. Questi non riguardano le  poche proprietà materiali di chi li ha scritti. Sono testamenti in cui il giovane sceglie di lasciare un proprio messaggio che si può ritrovare in caso di morte. Un ultimo messaggio personale -spesso di carattere morale- indirizzato alla famiglia e agli amici; talvolta alla società intera.

Sia la scrittura di questi testi, sia il loro eventuale ritrovamento, rappresentano due momenti opposti ma nella stessa misura devastanti.


In genere, in questi testamenti emergono maturità e -al contempo- ingenuità giovanili, accompagnate da quella particolare voglia di vita di chi sa che -realisticamente- potrebbe esser molto vicino alla morte.

In ogni testo -ognuno a modo proprio e a seconda del background personale di chi scrive- emergono sempre marcati tratti di generosità, di consapevolezza etica, di senso di responsabilità e il senso di appartenenza a un destino comune.


Alcuni degli scriventi hanno gli strumenti e le capacità per declinare questi elementi con parole originali; alcuni si rifanno a schemi e slogan un po’ consumati.

In tutti -comunque- emerge sempre una marcata consapevolezza di se. Poco importa se questa è espressa con l’enfasi, con il senso di romanticismo e idealismo caratteristici della giovinezza, o se sono enunciati attraverso l’uso di slogan riciclati. Si tratta comunque di una consapevolezza di se genuina -talvolta anche di legittima paura- che emerge di fronte ad un vero e tangibile rischio personale.

Inoltre, anche ove si tratti di slogan riciclati e banali (e non è affatto sempre così…) questi  hanno delle incontestabili credenziali: non sono infatti gli slogan gridati durante un corteo, espressione di appartenenza ad un gruppo che -intorno- trasmette un senso di protezione; nè sono luoghi comuni sciorinati -con falso impegno- durante una manifestazione tenuta nell’ambito protetto e viziato di un’Università. Sono infatti scritti in un momento di concreta presa di responsabilità personale; di esposizione personale ad un vero pericolo.


Per questi giovani, infatti, la consapevolezza di se, la coscienza della morte e della perdita non sono qualcosa che arriva dal cielo: sono ribadite dal continuo e inevitabile incontro che in Israele si ha con la perdita improvvisa e traumatica di persone vicine; vuoi che siano commilitoni con i quali si è rischiata la vita, o siano persone care, figli, genitori, parenti, amici, colleghi, vicini di casa.


In Israele, infatti, il nome di una vittima o di un caduto, udito alla radio o letto in internet, non rimane a lungo un nome qualsiasi. In una società così piccola -e a suo modo coesa- anche quando la vittima o il caduto non sono direttamente conosciuti, si viene a sapere in brevissimo tempo che si tratta de “il parente di…”, “l’amico di…”, “il collega di lavoro di…” etc.

In questo modo un nome prima sconosciuto assume un’identità definita e concreta. Con intensità diverse si stabilisce un legame con quel nome sino a poco prima sconosciuto. Un legame vicino o lontano; comunque irreversibile in termini di consapevolezza ed emozione.


Molti testamenti hanno ispirato canzoni, o ne sono divenuti il testo stesso come nel caso di Nitzachti BeDamì (Ho vinto col mio sangue).


TRADUZIONE, NOTE e COMMENTI:

————————————————

Se state leggendo questo, vuol dire che non sono ritornato.

Non ho rimorsi in merito, son contento di aver combattuto.


Se sono prigioniero, o se mi hanno rapito,

non fate nessun accordo. Non per questo mi sono sacrificato.

Non liberate nessun terrorista per riscattarmi.

La vittoria è più importante, (e io) ho vinto col mio sangue.

Fratelli miei, non so cosa farei per i figli del mio popolo

Ho dato tutte le mie forze, ho dato me stesso.


“Il mio amico è sceso nel suo giardino, a pascolare nei giardini e raccogliere le rose” (3).


Forse son caduto in battaglia, quando un soldato cade (normalmente) si piange…

Io chiedo invece soltanto che siate sempre felici

Quando ci si separa… non separatavi da me in modo triste

Cantate con gioia, mantenetevi uniti

sostenetevi l’un l’altro, unite le mani…

Seminate nei cuori la speranza, (la) speranza nel Cielo…

Vi è così tanto di cui esser felici

(così tanto) di cui andar fieri

Siamo la generazione della Redenzione

la fine di tutte le generazioni.


“Il mio amico è sceso nel suo giardino, a pascolare nei giardini e raccogliere le rose” (3)


Adesso è il momento di scrivere la storia del (nostro) popolo

Israel (4) (è) virtù, anima del mondo intero

Per favore, siate persone buone, vivete (appieno) la vita

purezza, amore, disponibilità, vita da ebrei…

Guardatevi reciprocamente dentro, nell’anima

Perchè tutto quel che stiamo passando

ogni respiro

ne vale la pena…

è tutto per l’eternità

State insieme… e amate

siete fratelli.


“Il mio amico è sceso nel suo giardino, a pascolare nei giardini e raccogliere le rose” (3)


[In sovraimpressione sullo schermo:

“Basato su una lettera scritta da Elkanà Wiesel Hi”d (5)

La canzone è in suo ricordo “ (6)


————————————————

NOTE e COMMENTI:

(1) Z”L:  acronimo dell’espressione “Zichronò Livrachà” (il suo ricordo sia di benedizione). Si pronuncia: “zàl”.  È d’uso aggiungere questo acronimo dopo il nome di una persona defunta.


(2) Il “trentesimo dalla morte” è lo scadere di una delle fasi del lutto da tenersi dopo la morte di una persona. Per maggiori informazioni circa le fasi del lutto secondo l’ebraismo, si veda anche la nota (8) alla traduzione del brano “Ma Avarèkh”, parrte del Progetto 710.


(3) v. Cantico dei Cantici 6:2.


(4) Nella lingua e tradizione ebraica il termine “Israel” definisce sia il Popolo Ebraico, sia la specifica entità statuale oggi chiamata “Israel, Israele”, ovvero lo Stato d’Israele fondato nel 1948.


(5) Hi”d: acronimo dell’espressione “Hashèm Inkòm Damò” (Il Signore ne vendichi il sangue). È d’uso aggiungere questo acronimo dopo il nome di una persona uccisa “ ‘Al Kiddush Hashèm” (Per la santificazione del sacro Nome).

A differenza dell’acronimo z”l, di natura simile come descritto nella precedente Nota (1), questo acronimo è funzionale solo alla scrittura, ovvero: le tre lettere non vengono pronunciate come fossero una parola a se, bensì -parlando- viene declinata la formula per intero, “Hashèm Inkòm Damò”.


Nella lingua e nella tradizione ebraica quando si indica che un ebreo è morto “ ‘Al Kiddush Hashèm” si intende che la persona è stata uccisa per un solo motivo: il fatto stesso di essere ebreo. Vittima quindi di una propria identità che non vuole rinnegare o della quale non può -anche se volesse- scrollarsi. Quindi come nel caso delle vittime di persecuzioni antisemite nei secoli, della Shoah, di attentati sferrati in modo specifico a ebrei o anche -come nel caso di Elkanà- di chi muore sacrifcando se stesso in difesa del Popolo Ebraico.


(6) In ebraico, alla lettera: “HaShìr Mukdàsh Le’ilùi Nishmatò” (La canzone è dedicata all’elevazione della sua anima). Questa espressione si usa dedicando ad un defunto una canzone, un testo, un evento di studio, etc.



COntact us

Graduated Background
  • Instagram
  • Facebook
  • Twitter
  • YouTube
  • TikTok

Thanks for submitting!

  • Twitter
  • Instagram
  • Facebook

© 2024 by Progetto 710. Powered and secured by Pasquale Zambuto

bottom of page