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ACHARÈI HAMABÙL (Dopo il Diluvio)

  • Immagine del redattore: progetto 710
    progetto 710
  • 26 mar 2024
  • Tempo di lettura: 11 min

Aggiornamento: 15 mag 2024

Una risposta a una disperata necessità di rassicurazioni e richiesta di punti fermi, emersa con il trauma del 7/10 e con la guerra. La risposta arriva attraverso un ritmato cocktail di messaggi di tono biblico.


AUTORI: Maor Titon e El’ad Treblisi. Canta Itài Levy

STILE:  Adrenalinico (L)  |  Lo Stadio va alla Guerra  |

CATEGORIE: Patriottismo o Propaganda  |  Neofede e Saccarina  |  Guardando Avanti |

USCITA: 27/11/2023, giorno 51 di guerra e prigionia degli ostaggi.


INTRODUZIONE:

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Un brano che utilizza il ritornello di una vecchia e popolare canzone, attualizzandola -per il pubblico cui è destinata- con una formula di sicuro successo: una botta al cerchio emozionale della fede, l’altra alla botte dei comprensibili sentimenti di amor patrio rinnovatisi con il 7/10.


In modo orecchiabile ed energizzante, Acharei Hamabùl (Dopo il Diluvio) propone una risposta a una disperata necessità di rassicurazioni e richiesta di punti fermi. Questa necessità -emersa con il trauma del 7/10 e con la guerra- è generata dall’angoscia e dalla rabbia, cui si unisce il desiderio di motivi di speranza e capacità di sopravvivenza.

La canzone propone tale risposta attraverso un ritmato cocktail di messaggi di tono biblico indirizzati ad un misto di settori del pubblico israeliano: quello oriental-moderno, il semi-laico (ma legato a proprio modo alle tradizioni) e il nazional-religioso.


A tutti questi settori -ma, volendo, a chiunque altro- il cantante propone motivi quali: fede, speranza, accettazione di una necessità di lottare per sopravvivere -attuale ma con radici antiche- cui si unisce un esplicito messaggio unificante: “siamo tutti nella stessa barca”. Quest’ultimo ammicca ad una necessaria unità del Popolo d’Israele -sempre auspicata ma sempre fragile- che in genere emerge purtroppo solo in momenti di gravi minacce esterne.


Il presente brano, si basa su un veloce recitativo melodico, intercalato dalla rivisitazione di un ritornello estratto da un brano uscito nel 1971 per opera del compositore Aviahu Medina: “’Al tiràh Israel, al tiràh” (Non temere Israel, non temere).


Medina, popolare compositore del genere di stile orientale, pubblicò allora una canzone basata su un tema di ispirazione biblica: “Ya’akòv hatamim” (Il candido Giacobbe). Il ritornello della stessa (‘Al tiràh…) incontrò il gusto del pubblico generale -e in particolare di quello nazional-religioso- divenendo quasi canzone a se stante. Questo sia in virtù della sua orecchiabilità, sia grazie a un testo che evoca linguaggi e contenuti biblici: “ Non temere Israel, non temere! Non sei forse un cucciolo di leone? E se un leone inizierà a ruggire chi non si metterà a tremare? “.

[ Nell’ultima nota, in calce alla traduzione del testo, dettagliate informazioni riguardanti la canzone originale di Avihau Medina, le sue connotazioni e le diverse fonti bibliche cui fa riferimento].

  

ITÀI LEVY (1988 - ) è cresciuto a Sha’araym -sobborgo della cittadina di Rechovot, a maggioranza di origine yemenita- dove ha attraversato un’infanzia complessa e -in termini famigliari- segnata da sventure.

Inizia ad affermarsi nel 2013 nel genere musicale oriental-melenso, per poi estendersi -negli anni con notevole successo- al pop romantico, con strizzatine d’occhio al techno.


TRADUZIONE, NOTE e COMMENTI:

————————————————

Chi mi sente, alzi la mano!

Chi potrà sconfiggermi

se siam tutti insieme?


Vabbè (1)

è (tutta una storia di) azzurro e bianco

è (questione di) alzarsi e cadere

Rabbi Nàchman (2) diceva

“la fede è tutto”

E se in questo (3) non v’è verità

ci sarà da diventar matti (4)

Di generazione in generazione

tentano di distruggerci

(e) non c’era nessuna (altra) scelta (5).


Amore

Pace

Speranza

Sogno

Preghiera

Lacrime

Dolore

faccio fatica a vedere.


Perchè siam tutti sulla stessa barca

(e) anche se ci prendiamo uno schiaffo

sul mare canterem (6) senza timore

perchè se un leone inizierà a ruggire

chi non si metterà a tremare? [x2. La seconda volta: scandito].


[Ritornello, ricalcando la canzone di Aviahu Medina, 1971]: (10)

Non temere Israele, non temere

Non sei forse un cucciolo di leone?

E se un leone inizierà a ruggire

chi non si metterà a tremare? [x2.]

Non temere Israele, non temere

perchè siam tutti nella stessa barca

E se un leone inizierà a ruggire

chi non si metterà a tremare? [x2.]


Ok (1)

Dopo il diluvio (7)

Rialzeremo la testa

per i bambini del fronte

Autunno ’23 (8.)


Arriveranno altri tempi

il fumo si disperderà

Lo san già tutti

Il Messia è già qua. (9)


Amore

Pace

Speranza

Sogno

Preghiera

Lacrime

Dolore

faccio fatica a vedere


Perchè siam tutti sulla stessa barca

(e) anche se ci prendiamo uno schiaffo

sul mare canterem senza timore (6)

perchè se un leone inizierà a ruggire

chi non si metterà a tremare? [x2. La seconda volta: scandito].


[Ritornello, ricalcando la canzone di Aviahu Medina, 1971]: (10)

Non temere Israele, non temere

Non sei forse un cucciolo di leone?

E se un leone inizierà a ruggire

chi non si metterà a tremare? [x2.]

Non temere Israele, non temere

perchè siam tutti nella stessa barca

E se un leone inizierà a ruggire

chi non si metterà a tremare? [x2.]


————————————————

NOTE e COMMENTI:

(1) In ebraico “Tov” (buono), qui però usato non come aggettivo, bensì in forma di incipit colloquiale; tipo: “OK… allora…”.


(2) Rabbi Nachman di Breslaw (1772 - 1810), da cui la omonima corrente chassidica che ne prosegue i messaggi e insegnamenti. Rabbi Nàchman , visse nelle aree che oggi sono Ucraina. Gli insegnamenti di Rabbi Nachman mettono, al centro dell’esperienza ebraica, gioia, fede, ottimismo e anche un certo candore.

[Nel Progetto 710, v. anche il brano Ein Nechamà, di ElyatTzùr ].


(3) In ebraico “Im ein po” (se non vi è qui) quindi non è letteralmente “se in questo”.


(4) In ebraico, letteralmente, “Az tiyèh meshug’a” (allora sarai pazzo). Quindi non con un senso univoco (così come altri punti della canzone, che propone mezze frasi, qua e la, evidentemente per provocare associazioni di idee) ma ragionevolmente nel senso suggerito dalla traduzione.


(5) In ebraico “Lo aytàh shum breirà”. Anche qui non è chiaro e univoco a cosa si riferisca il testo. È possibile tuttavia che si riferisca alla guerra stessa. Infatti, in Israele, le guerre vengono informalmente divise in due categorie: “Milchèmet eyn breirà” (Guerra “non c’è scelta”; inevitabile, azione difensiva) rispetto a “Milchèmet yesh breirà” (Guerra “c’è scelta”; di iniziativa, talvolta a scopo preventivo).


(6) Riferimento alla “Shiràt HaYam” (la c.d. “Cantica del Mare”), ode innalzata dai Figli d’Israele dopo aver attraversato miracolosamente il Mar Rosso, nel corso dell’altrettanto miracolosa uscita dalla schiavitù in Egitto. (Esodo 15; 1-19).


(7) La parabola del “Diluvio” (con seguente “Dopo il Diluvio”) è presente in numerose culture. Il “Dopo Diluvio” è metafora di rinascita seguente ad una catastrofe che, attraverso una distruzione totale, arriva a riazzerare una situazione negativa altrimenti incorreggibile.

Nel libro della Genesi, inoltre, dopo il Diluvio appare l’arcobaleno, simbolo di ottimismo. Si tratta di un ottimismo fondato: infatti -sempre nella narrazione biblica- il Signore dichiara che l’arcobaleno sarà segno di un patto tra tutti gli esseri viventi e D-o stesso, in cui l’Onnipotente si impegna a non provocare più, in futuro, nessun ulteriore diluvio sterminatore (Genesi 9; 12-17)


Secondo l’approccio un po’ populista della canzone -caratterizzato da figure metafisiche e da argomentazioni fideistiche di facile consumo- è plausibile considerare la catastrofe del 7/10 come una forma di Diluvio correttore.

Adottando questa probabile prospettiva, sarebbero gli anni di decadenza -e soprattutto di fratture all’interno d’Israele- a corrispondere al periodo corrotto che conduce al Diluvio. È da qui che bisogna ora ripartire -fiduciosi e tutti insieme- dato che “siamo tutti nella stessa barca”, come ribadisce la canzone.

Il messaggio è chiaro. L’argomentazione rimane tuttavia piuttosto superficiale, non proponendo nulla di nuovo rispetto all’agitato periodo precedente il Diluvio, a parte un’esortazione al coraggio. Questa è ricca di saccarinica fede e forte di orgoglio felino, ma povera di programmaticità e assunzioni di responsabilità. Esattamente come -prima e dopo il 7/10- la leadership politica israeliana cui fa in genere riferimento proprio quella fetta di pubblico identificabile con questa tipologia di canzone.


Parlando di Diluvio, va comunque anche ricordato che il nome assegnato da Hamàs all’attacco-strage del 7/10 è “Diluvio El-Aktzà”. Questo evidentemente in onore all’omonima moschea di Gerusalemme, assunta a simbolo di tutto il territorio da liberare e redimere, secondo l’ottica dell’organizzazione terroristica.


(8) Gioco di parole che si riferisce ad una canzone iconica che ricorda un’altra guerra  -quella del Kippur, 1973- evocandone l’angoscioso contesto e le delusioni della generazione nata dopo quella guerra .

La canzone è “Yeldei HaChoref ’73” (I bambini dell’inverno ’73) uscita nel 1994. [Link ad una delle numerose esecuzioni nei commenti di FB in calce].

La conosciuta espressione “Yeldei HaChoref ’73” viene qui sostituita con le parole, assonanti, “HaYeladìm shel ‘oref stav ’23” (I bambini del fronte autunno ’23”).


Il brano del 1994 intendeva esprimere l’amarezza e la delusione di una generazione -appunto nata subito dopo la Guerra del Kippur- costretta vent’anni dopo ad arruolarsi e quindi a misurarsi con un perenne stato di guerra, nonostante le intenzioni e gli sforzi profusi per anni dalle generazioni precedenti nel tentativo -genuino o meno- di raggiungere la pace.

La canzone è ancora oggi molto popolare e l’espressione “Bambini dell’inverno ’73” è in pratica divenuto concetto e simbolo, sia in riferimento alla Guerra del Kippùr, sia nel discorso pubblico riguardante il perenne stato di conflitto in cui Israele si trova dalla sua fondazione.


I tragici eventi del 7/10 -e la successiva guerra- sono stati inevitabilmente paragonati a quelli della Guerra del Kippùr. In effetti non mancano elementi simili tra le due guerre, scoppiate -a distanza esattamente di mezzo secolo- nello stesso mese e nello stesso periodo di solennità religiose.

Gli elementi in comune più scottanti e frustranti si ritrovano sicuramente nello shock provocato dall’aggressione a sorpresa, subita da Israele in entrambi i casi. Non meno, tuttavia, anche nell’immediata consapevolezza che questa sorpresa corrisponde a un enorme fiasco in termini di intelligence e di sottovalutazione del nemico.


In entrambi casi il fiasco subito ha indicato in modo incontestabile la debolezza e l’arrogante cecità di assunti strategici e tattici -così come delle priorità- delle leadership in carica, sia al momento dell’attacco subito, sia negli anni a questo precedenti.

Nel caso del 7/10/2023, tuttavia, il fiasco è molto più grave, la arrogante cecità si è dimostrata ben maggiore e -di conseguenza- anche la rabbia che suscita. Questo non solo perchè il caso 2023 -rispetto al 1973- ha conseguenze ben più gravi in termini economici, di perdita di vite umane e di impatto sulla società; bensì soprattutto per la maggiore stoltezza, irresponsabilità e arroganza dimostrate dai governanti. Infatti, se nel 1973 non vi erano precedenti fiaschi di riferimento da cui imparare, non è questo certo il caso nel 2023, dove -come minimo- il 1973 stesso doveva servire da lezione e ammonimento.

Ma la lezione non è stata studiata e l’ammonimento è stato irresponsabilmente trascurato.


(9) Affermazione piuttosto insolita, azzardata, nel contesto religioso-culturale della canzone. In questo contesto, infatti, è più abituale ripetere -come espressione di fede- versi tipo “Io credo nella venuta del Messia e -anche se si fa attendere- comunque vi credo”, evitando affermazioni troppo certe riguardanti avventi a breve termine, per non parlar poi di quelli che vi è chi sostiene siano già avvenuti…

È vero, la tradizione indica che un periodo di profondi dolori e sventure precederà l’arrivo del Messia (comunque da leggere più come una concettuale “Era Messianica” di armonia, che come la figura di un singolo con capacità e tratti particolari) tuttavia, come detto, la sicurezza affermativa del verso sembra piuttosto inusuale nel proprio contesto.

A meno che -come nel caso degli eventi legati al 7/10- vi siano problemi con la raccolta e analisi di informazioni da parte dell’Intelligence israeliano?


(10) LA CANZONE ORIGINALE di AVIAHU MEDINA.

Nei commenti FB, link ad un’esecuzione della stessa ….].


Aviahu Medina (1948 - ) è un compositore israeliano di grande successo, che ha contribuito in modo centrale all’inserimento della musica di matrice mediterranea e sefardita nel mainstream musicale israeliano. Prolifico autore di brani, sia eseguiti personalmente, sia scritti per altri cantanti, nel 2022 è stato insignito per la sua carriera in ambito musicale.

dell’Israel Prize, massimo riconoscimento ufficiale dello Stato.


Nel 1970 Medina scrive la sua prima canzone: “Ya’akòv HaTamim” (Il candido Ya’akòv, Giacobbe). Questa esce nel 1971 e ottiene subito un enorme successo.

Il testo della canzone narra del patriarca Giacobbe in episodi individuabili nella Bibbia a partire dal Cap. 28 della Genesi. In particolare Medina si sofferma sulla storia d’amore tra Giacobbe e Rachele, figlia di Labano. Quest’ultimo inganna il risoluto ma giovane Giacobbe (da cui il candore attribuitogli nella canzone) nel corso delle dinamiche cui Ya’akòv deve sottostare per ottenere in moglie l’amata Rachel (Genesi 28; 13-31).

Nell’ultima strofa della canzone, tuttavia, Medina ricorda successivi sviluppi della vita del patriarca, che ridefiniranno la figura di Giacobbe portandolo da candido e ingenuo a eroe vincente, che -tra le altre- combatte in nome di D-o.


È essenziale ricordare che al nome Ya’akòv il Signore impone al patriarca anche il nome “Israel” (v. Genesi 32; 29 e Genesi 35; 10). L’imposizione di questo nuovo, doppio, nome coincide anche con una ridefinizione, da parte Divina, della stessa stirpe di Ya’akòv: questa -dichiara il Signore- diverrà una nazione prolifica (v. Genesi 35:11-12) cui verrà confermata la terra precedentemente già promessa dal Signore ai precedenti avi Abramo e Isacco e alla loro discendenza (Genesi 12; 7, 19; 18-21 e Genesi 26;1-5).

Il termine “Israel” diviene quindi sia un ulteriore nome di Ya’akòv, sia nome collettivo di un’intera nazione.


Giocando su questa sovrapposizione onomastica, Medina puntua le strofe della canzone con un ritornello che intende trasmettere messaggi di forza, fiducia e incoraggiamento. I versi del ritornello definiscono Israel “cucciolo di leone”:

“ Non temere Israel, non temere | Non sei forse un cucciolo di leone? |  E se un leone inizierà a ruggire | chi non si metterà a tremare? “.


In virtù della sua orecchiabilità e del contenuto, il ritornello è divenuto popolare quasi come una canzone a se, slegata dalla canzone principale. Le parole e la struttura del ritornello hanno caratteri tipicamente biblici: non per caso, se interrogato circa l’origine del ritornello, gran parte del pubblico israeliano risponderà che il testo è estratto dalla Bibbia. In realtà però questi presunti versi biblici esistono nella loro struttura solo nella canzone di Medina. Il compositore ha infatti creato un sapiente cocktail di motivi e termini attinti dalla Bibbia, dando così all’ascoltatore una sensazione di déjà vu che in efetti richiama l’autorevole Libro Eterno.


L’espressione “Non temere”, declinata in ebraico come nel ritornello (Al tiràh), figura in numerosi versi nella Bibbia; a partire dalla Torah (il Pentateuco) sino a diversi libri degli Agiografi, passando attraverso vari libri dei Profeti, per un totale di ben 49 presenze.


L’uso del cucciolo di leone come metafora ha invece origine nel messaggio con cui Ya’akòv, prima di morire, si separa dai suoi dodici figli, ciascuno progenitore delle rispettive dodici tribù che diverrano in seguito il Popolo d’Israele.

In quella solenne circostanza, Ya’akòv da un flash descrittivo, talvolta una predizione, riguardante ognuno dei figli. Del figlio Giuda, il patriarca morente dice tra l’altro: “Tu Giuda sei un cucciolo di leone (…) coricato come un leone chi oserebbe farlo alzare?” (Genesi 49; 9). Troviamo quindi nel verso il paragone con il regale felino, accostata inoltre a una domanda retorica.


Aviahu Medina, tuttavia, non si accontenta e sviluppa il motivo del timore che il leone può incutere. Fa questo inserendo una domanda retorica basata su un verso del Profeta Amòs: “(quando) Il leone emette il suo ruggito, chi non avrà paura? (…)” (Amos 3; 8.).

Il profeta in realtà si riferiva al Signore Onnipotente…  tuttavia la giustapposizione tra la precedente metafora del leone e l’esortazione rivolta a Ya’akov-Israel -cui segue la domanda retorica “chi non avrà paura?”- genera una nuova chiave di lettura integrata, in cui Israel è percepibile come nazione potente e -soprattutto- temibile.


Il motivo del leone simbolo di potenza e autorevolezza ricorre in numerose culture.

Senza stare a scomodare vari leoni o semileoni -dalla Sfinge egizia alla Chimera etrusca, dai diversi stemmi del Regno Unito sino al Disneyano Re Leone- ma attenendosi invece solo in ambito ebraico e biblico, il leone -come ricordato prima- è prima di tutto associato a Yehudàh, Giuda figlio di Giacobbe, simbolo della sua tribù e, in seguito, del Regno di Giuda (796 - 422 circa, avanti l’Era Volgare) area collocata nella zona centrale della Terra d’Israele storica.

Per questo motivo il leone appare come simbolo anche nello stemma di Gerusalemme e, nell’ambito dell’Esercito Israeliano, in quello del Comando della Zona Centrale.


Da questa radice derivano altri specifici simboli ispirati all’origine biblica. Tra questi, nella tradizione cristiana, il simbolo dell’Evangelista Marco, ma anche il Leone di Giuda che rappresenta gli Imperatori Etiopi. Questi, secondo la tradizione etiope, sarebbero infatti discendenti del rapporto tra il biblico Re Salomone e la Regina di Sabah, che venne a fargli visita dalle Terre d’Etiopia.

Quest’ultimo riferimento storico-culturale, è elemento significativo all’interno anche della cultura e tradizione Rastafari. Questa -nonostante sia appannaggio di popolazioni giamaicane di origine africana- contiene numerosi riferimenti a temi di carattere biblico ed ebraico.


Nel Progetto 710 ci interessa ricordare la tradizione Rasta perchè ha anch’essa è identificata con uno specifico genere musicale: il Reggae. I testi che accompagnano le canzoni che rientrano in questo ritmato e rilassante genere musicale, infatti, propongono di frequente riferimenti biblici, soprattutto derivati dai Salmi.

Non è quindi un caso che Bob Marley z”l, il musicista Reggae più noto in occidente, proponga testi che parlano di un Exodus, oppure delle rive dei fiumi in Babilonia (*). Restando nell’ambito di riferimento della canzone di Aviahu Medina Marley compone e canta canzoni in cui di nuovo incontriamo il leone biblico come simbolo di forza e indipendenza; brani quali “Lion of Judah” o anche “Iron Lion Zion”, dove il treccinuto Bob proclama ritmicamente “sarò (forte come) il ferro, come un leone di Sion” (Iron Lion Zion, 1973).


(*) Nel Progetto 710 si veda anche la canzone Ani Rotzà Leitchtèn BaMilchamà (Voglio sposarmi durante la guerra) e le note che ne accompagnano la traduzione.

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