QINNÀT BEERI (L'Elegia di Beeri)
- progetto 710
- 11 ago 2024
- Tempo di lettura: 10 min
Aggiornamento: 24 dic 2024
Secondo la tradizione delle Qinnòt, elegie di dolore, un lamento e una preghiera per il Kibbutz Beeri, devastato dalla strage del 7/10.
AUTORE: Testo: Yagèl Haroush. Musica: Tradizionale. Canta: Yagèl Haroùsh.
Arrangiamento: Jerusalem Orchestra East West, diretta dal Maestro Tom Cohen.
STILE: Ansiogeno | Killing you Softly. |
CATEGORIE: Shock, Lutto, Ansia | Rabbia, Confusione | Guardando Avanti |
USCITA: 07/01/2024, giorno 92 di guerra e prigionia degli ostaggi.
LINK al brano: https://youtu.be/qdZN0NYW0VY?si=dTxxonugONFfPKBt
INTRODUZIONE
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La Qinnah (pl. Qinnòt) è una forma di elegia che esprime lutto e cordoglio.
Vengono chiamate Qinnòt sia elegie che incontriamo nella Bibbia -in particolare in brani dei Profeti- sia brani elegiaci composti in periodi post-biblici; ad esempio in Europa, nel periodo delle Crociate che fornirono a folle e accozzaglie una comoda scusa per compiere razzie nelle comunità ebraiche e perpetrare stragi di ebrei.
Le Qinnòt di Tish’a BeAv e il Libro di Ekhàh
Tish’a BeAv (giorno 9 del mese Av) è la principale ricorrenza luttuosa del calendario ebraico. Secondo la tradizione, a distanza di secoli -ma nello stesso giorno e mese- ebbero luogo numerosi eventi tragici per il Popolo Ebraico. Tra le non poche tragedie che accompagnano la storia ebraica nei secoli, vengono in particolare ricordati due eventi in relazione al 9 di Av: 1) la distruzione del Primo Tempio di Gerusalemme, nel 587 prima dell’Era Volgare ad opera dell’impero Neo-Babilonese; 2) la distruzione del Secondo Tempio, nel 70 ad opera dell’Impero Romano. Questi due eventi portarono alla c.d. Diaspora, la dispersione del Popolo Ebraico fuori della Terra d’Israele.
A tutt’oggi Tish’a BeAv è giorno di digiuno, raccoglimento e lutto. Il dolore viene espresso anche attraverso la recitazione di Qinnòt, composte nel corso dei secoli e in comunità ebraiche diverse. Nella liturgia del 9 di Av, le Qinnòt in genere vengono recitate dopo la lettura del Libro di Ekhàh.

Nei Ketuvìm, i c.d. Agiografi -la terza sezione della Bibbia, dopo il Pentateuco e i Libri dei Profeti- troviamo il Libro di Ekhàh, talvolta chiamato in italiano “Lamentazioni”.
Il Libro di Èkhàh racconta in cinque capitoli (1) la distruzione di Gerusalemme del 587 avanti l'Era Volgare.
Il racconto è presentato in forma elegiaca. I primi quattro capitoli sono degli acrostici.
Ekhàh è quindi una lunga elegia, che piange la desolazione della Gerusalemme distrutta e puntuata da deprimenti metafore intese ad esprimere un cordoglio vivo ancora oggi. La figura metaforica più conosciuta è probabilmente quella che si incontra nei primi versi del libro: Gerusalemme, una volta grande tra le genti, è paragonata ora ad una vedova solitaria, piangente e tradita; schiava soggetta al potere di estranei.
In ebraico la parola Èkhàh significa “come?”, “come mai?”, espressione anche di confusione e di uno stupore attonito, paralizzato dal terrore.
Questo “come”, “come è possibile?”, “come mai?” apre e accompagna la moderna Qinnàh qui presentata, composta da Yagel Haroush pochi giorni dopo i tragici eventi del 7/10/2023.
La Qinnàt Beerì (Elegia di Beeri)
In ebraico “beerì” significa “il mio pozzo”. Beeri è tuttavia anche il nome (2) di uno dei Kibbutz più colpiti, in modo inumano, durante la strage del 7/10. (3)
L’antitesi tra il nome del Kibbutz che evoca una fonte d’acqua -motivo, nella tradizione ebraica, associato alla vita (4)- e la realtà tragica degli eventi, ha colpito la sensibilità di Yagel Haroush, autore e musicista specializzato in musica tradizionale ebraica orientale e arabo-ebraica.
In linea con una triste tradizione di secoli, il profondo turbamento provocato dagli eventi del 7/10 è stato espresso da Haroush in forma di Qinnàh.
Il testo composto da Haroush volutamente ricorda il libro di Ekhàh e tutte le sue valenze storiche, liturgiche ed emozionali.
La musica è basata su quella di un’altra Qinnàh del 9 di Av, cantata secondo il rito melodico degli ebrei del Marocco: Gerushìm MiBeit Ta’anugheem” (Esiliati dalla casa dei piaceri) elegia scritta in Spagna nell'Undicesimo secolo. (5)
Nel rito ebraico marocchino, tuttavia, la stessa melodia accompagna stranamente (6), anche un’altro brano liturgico: il c.d. Tikùn HaGèshem (invocazione per la pioggia) che si recita durante la festa di Simchàt Torah (Gioia della Torah) una delle feste più gioiose del calendario ebraico.
Paradosso, tragedia e il satanico piano di Hamàs: il 7/10/2023, giorno della strage ed inizio della guerra, in Israele era Simchàt Torah. Proprio in un giorno che avrebbe dovuto esser di gioia, tutto è stato stravolto. La festa si è trasformata in tragedia, la gioia in lutto.
Questi elementi emergono nel testo della Qinnàt Beeri, accanto ad altri motivi e figure poetiche caratteristiche del Libro di Ekhàh e delle Qinnòt.
Qinnàh e catarsi
Se è vero che le Qinnòt nascono innanzi tutto dal lutto, mettendo al centro il dolore, è altrettanto vero che, in genere, questo tipo di elegie si concludono con una nota un po’ più positiva, o perlomeno proiettata con un cauto ottimismo verso il futuro.
Lo stesso Libro di Ekhàh, ad esempio, si conclude con un verso che, per una sua programmaticità positiva, è stato poi ripreso all’interno di alcuni brani liturgici:
“Ashivenu H’ eleiKha VeNashuva; chadesh yamenu KeKedem” (Facci tornare o Signore, e a te ritorneremo; rinnova i nostri giorni come nei tempi antichi).
Yagèl Haroush ha ben presente questa caratteristica consolatoria delle Qinnòt: anche la Qinnàt Beeri, infatti, si conclude proiettando in avanti lo sguardo e invocando con speranza una guarigione dal dolore. In un’intervista al giornale israeliano Calcalist, spiega Haroush:
“I nostri Saggi hanno saputo temperare, addolcire la Qinnàh; questa infatti non rappresenta solo una forma di pianto per quel che abbiamo perso, ma propone anche un significativo elemento terapeutico. La prima parte di una Qinnàh lascia spazio al pianto e al dolore, ma la seconda parte si conclude sempre con toni consolatori.
Lasciar emergere il dolore, dargli un suo spazio, consente anche di definirlo e descriverlo. In tal modo, definendolo, si può anche provare a dimensionarlo, temperarlo e a vedere un possibile orizzonte. È ciò di cui abbiamo bisogno anche ora: è necessario poter vedere un orizzonte sano e raggiungibile, pur partendo da una situazione di crisi e frattura”. (7)
L’arrangiamento della Qinnàt Beeri qui proposto

Questo arrangiamento della Qinnàt Beeri fa parte di un minialbum/progetto intitolato “BeSòf HaGèshem yavò aviv” (Dopo la pioggia arriverà la primavera). Il progetto comprende quattro brani eseguiti dalla Jerusalem Orchestra East West, diretta dal Maestro Tom Cohen, gruppo sinfonico specializzato in musica orientale tradizionale e moderna.
Questo ottimo arrangiamento della Qinnàt Beeri accompagna l’ascoltatore in un toccante crescendo. Partendo dal modesto lamento del singolo, il volume aumenta e la commozione diviene corale attraverso il graduale aggiungersi di strumenti diversi, per poi rientrare nuovamente nella modestia del singolo, addolorato ma proiettato in avanti.
L’ampia gamma di strumenti utilizzati -orientali e occidentali, tradizionali e moderni- riflette indirettamente la presenza delle Qinnòt nel corso dei secoli e nei paesi in cui la sofferta storia del Popolo Ebraico si è articolata e a tuttoggi si articola.
I videoclip dei quattro brani sono stati girati nella splendida sede della nuova National Library of Israel, a Gerusalemme.
Alla nota (8), link al minialbum con i tre ulteriori brani.
Yagèl Haroush (1984 - ) nasce in una famiglia di origine marocchina e cresce a Dimona, una cittadina nel sud d’Israele socioeconomicamente modesta. Dopo un giovanile personale allontanamento dalle tradizioni, il desiderio di nuova osservanza delle stesse riemerge in Yagèl nel corso degli studi universitari, mentre lavora ad un progetto incentrato su antichi canti e melodie ebraiche.
Laureato all’Accademia di Musica di Gerusalemme è inoltre laureato in Filosofia.
A questo link: maggiori dettagli circa i generi musicali orientali in cui Haroush è specializzato.
Yagel è sposato e padre di cinque bambini e attualmente risiede a Tzùr Hadassah, un piccolo centro vicino a Gerusalemme.
TRADUZIONE, NOTE e COMMENTI:
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Come (mai) (9) Beeri -il mio pozzo- (10)
è divenuto la mia tomba
e il mio giorno di luce (11) è divenuto tenebra?
E (come) ogni frutto è devastato
e il mio canto stravolto!
Il mio occhio stilla acqua (12)
dal profondo del mio squarcio (13).
Come (mai) la Torah
pronta e ben in ordine (14)
e tutto il Suo splendore
non mi è stato d’aiuto?
e nel giorno della Sua bellezza
il mio volto è stato sfregiato!
Il mio occhio stilla acqua
dal profondo del mio squarcio (13).
Come (mai) Israel
nel giorno in cui si chiama il Signore
e si invoca la vita
è stato (invece) colpito?
L’anziano e il neonato rotolati nel sangue (15)
e la Sua (16) festa è stata profanata
da un nemico crudele.
Il mio occhio stilla acqua
dal profondo del mio squarcio (13).
Come (mai) madri, bambine e fanciulle
vengon condotte in schiavitù
in fila a mo’ di gregge (17)
come al tempo di (altri) massacri?
E (come) le dritte recinzioni
son state scardinate,
e si sono fermate le danze (18)
e le melodie dei miei salmisti.
Il mio occhio stilla acqua
dal profondo del mio squarcio (13).
Come (mai) mi chiedo, o Creatore Eccelso.
Sino a quando la nazione sarà in preda al turbamento?
Sino a che livello (19) la terra verra umiliata?
E ora sorgi (19) per dar luce al mio lume
con il Tuo misericordioso sguardo (20)
guarisci il mio squarcio
e il mio occhio che stilla (acqua)
riempirà il mio pozzo (21)
e il mio occhio che stilla (acqua)
darà da bere a Beeri. (21)
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NOTE e COMMENTI all'Introduzione:
(1) Link ad una traduzione italiana del Libro di Ekhàh, offerta dall’ampio e utile sito Torah.it. http://www.archivio-torah.it/FESTE/9av/echa.pdf

(2) In ebraico "beeri" significa “mio pozzo”. Il nome del Kibbutz Beeri, posto nel deserto del Nègev a circa quattro chilometri dal confine con Gaza, ha però tutt’altra origine. Fondata nel 1946, la comunità agricola di impostazione socialista volle con questo nome onorare Berl Katznelson, uno dei leader del movimento kibbutzistico, il cui soprannome era -appunto- Beeri.
(3) Dati del 2022 attribuiscono al Kibbutz Beeri una popolazione di 1071 anime. Il 7/10/2023 oltre cento terroristi di Hamàs riuscirono ad entrare nel Kibbutz, compiendo una strage in cui furono uccise 101 persone, adulti e bambini, e rapite altre 32. Beeri è sato letteralmente decimato: le modalità di assassinio, ferimento e distruzione sono state atroci e sono ampiamente documentate.
In data 9 di Av 5784 (13.08.2024) -giorno di redazione di questa nota- 21 dei rapiti risultano uccisi. 11 sono a tuttora prigionieri a Gaza.
(4) Figure come il pozzo e la fonte d’acqua sono considerate nella cultura ebraica metafore per indicare la vita, la sua nascita, un rinnovarsi.
Nello specifico, tuttavia, racconta Yagèl Haroush nell’articolo di cui alla nota (7):
“(…) mi è stato difficile staccarmi dalla simbolicità del nome Beeri, mio pozzo, e dalla sensazione che questo mio pozzo era stato asciugato. Nelle dottrine mistiche, per i Saggi il pozzo è una delle espressioni usate per indicare la Shekhinàh, la Presenza Divina. (Per me, però) quel pozzo si era trasformato in una fossa comune. Questo pensiero mi sconvolgeva e perciò mi sono messo a scrivere”.

(5) Nella tradizione e nella liturgia ebraica è del tutto comune trovare brani in cui lo stesso testo viene cantato in modi diversi -anche molto diversi- a seconda della collocazione geografica delle singole comunità ebraiche nella Diaspora. È quindi quindi del tutto normale incontrare lo stesso testo cantato con diverse pronunce e soprattutto con diverse melodie, che riflettono la cultura musicale di diversi paesi: orientale, nordafricana, est-europea, mediterranea, etc.
La Qinnàh per il 9 di Av: “Gerushìm MiBeit Ta’anugheem” (Esiliati dalla casa dei piaceri) è attribuita a Rabbi Itzchak Ben Rabbi Yehudàh Ibn Ghyàt, vissuto in Spagna nel Sec. XI.
Link alla pagina della National Library of Israel, con il testo della Qinnàh e la documentazione registrata di melodie provenienti da paesi diversi. Tra queste segnaliamo la numero 11 -eseguita da Yagèl Haroush e che è servita da base per la Qinnàt Beeri- e l'interessante numero 14, di origine Portoghese, in un'esecuzione che ricorda un waltzer.
(6) È qui rilevabile un paradosso nell’utilizzo della melodia triste di una Qinnàh proprio nel corso della recitazione di un brano ottimista -l’Invocazione per la pioggia a inizio della stagione autunnale- cantato a Simchàt Torah, una delle feste più gioiose del calendario ebraico.
Spiega tuttavia Haroush, in una nota FB riportata dal sito Kipàh nel marzo 2024:
“ La (mia) Qinnàh è stata scritta sulla base musicale della Qinnàh “Gerushìm MiBeit Ta’anugheem” (Esiliati dalla casa dei loro piaceri), che si trova nella liturgia del 9 di Av degli ebrei del Marocco. Potrà sorprendere notare che questa melodia è utilizzata anche per scandire il Tikkùn HaGeshem, “Invocazione per la Pioggia”, che si recita durante la festa di Simchàt Torah.
Perchè gli ebrei marocchini avrebbero scelto di invocare la pioggia, durante una festa così gioiosa, proprio con la triste melodia di una Qinnàh? Mi è giunta attraverso il Rav marocchino Shalom Sudri la seguente spiegazione: essendo l’Invocazione per la Pioggia una invocazione alla vita, (e per poter creare un maggior coinvolgimento emozionale) l’utilizzo di una melodia identificata con una Qinnàh spinge l’orante a invocare quella vita -così cara- con animo affranto, e quindi in modo maggiormente accorato”.
(7) Calcalist, 11.01.24.
Calcalist è una delle maggiori testate economiche Israeliane.

(8) Link al minialbum “BeSòf HaGèshem yavò aviv” (Dopo la pioggia arriverà la primavera) della Jerusalem Orchestra East West, diretta dal Maestro Tom Cohen:
NOTE e COMMENTI
al Testo del Brano e alla sua traduzione :
(9) “Come?”, “Come mai?” (quindi anche un “perchè?”):
in ebraico letterario: Eikhà. Proprio come nel Libro biblico di cui all’Introduzione.
(10) v. precedenti note (2) e (4).
(11) Si riferisce alla festa di Simchàt Torah, giorno della strage del 7/10.
v. Introduzione e precedente nota (6).
(12) La simbologia dell’acqua, qui in forma di lacrima date le circostanze:
v. Introduzione e precedente nota (4).
(13) In ebraico “shivrì” (mio squarcio; ma anche frattura, sia nell’accezione fisica o geologica, sia metaforica).
Shevèr è anche una delle espressioni utilizzate in Israele quando ci si riferisce alle fratture ideologiche e identitarie che hanno caratterizzato il periodo precedente gli eventi del 7/10. In forma simile, seppur meno virulenta, queste sono riemerse nel corso del periodo successivo, durante la guerra.
(14) Riferimento alla festa di Simchàt Toràh. Nel corso della festa il rotolo della Toràh è al centro dei festeggiamenti, come una sposa. Nelle sinagoghe il rotolo viene portato in processione con canti e balli. I fedeli ballano abbracciando il rotolo, come fosse il partner in una danza.
Nel corso della festa si conclude il ciclo annuale di lettura della Torà, articolatosi settimanalmente attraverso la lettura settimanale di episodi, le c,d. Parashòt. Il ciclo, tuttavia non termina, bensì ricomincia immediatamente, attraverso la lettura del primo brano della Genesi. La lettura dei versi dell’ultimo capitolo viene attaccata direttamente alla lettura dei versi del primo, rinnovando così un ciclo ininterrotto da secoli.
(15) L’anziano e il neonato, simbolo di tutte le età, sono figure ricorrenti nelle Qinnòt, nei Salmi e nella poesia ebraica.
Nel contesto del 7/10, purtroppo, le immagini di anziani e neonati barbaramente uccisi si sono materialmente concretizzate, in modo tangibile e shoccante.
(16) Sua: sia della Torah, sia dell’Onnipotente stesso.
(17) Altra figura ricorrente nelle Qinnòt e nel Libro di Ekhàh stesso.
Anche in questo caso, nel contesto del 7/10, questa immagine si è riproposta in modo brutalmente concreto. L’incubo di donne e giovani ragazze prigioniere e seviziate a Gaza è ancora in corso in data di scrittura di questa nota, ben 312 giorni dopo il 7/10.
(18) v. precedente nota (14).
(19) Nei due versi cui questa nota è doppiamente attribuita incontriamo quasi un gioco di parole. Nel primo verso compare il termine “Komàh” (piano di edificio, ma anche altezza).
Nel secondo compare il termine “Kumàh”, esortativo di Kùm (alzati, sorgi).
Ove non vocalizzate, come ad es. nel testo dei rotoli della Bibbia, ma anche usualmente nell’ebraico moderno, le due diverse parole sono scritte in modo identico, pur avendo accezioni diverse.
(20) In ebraico letteralmente “‘Eyn” (occhio).
(21) Concludendo il brano Haroush ribadisce che il nome del Kibbutz significa anche “mio pozzo” [seppur non sia intenzionalmente questo il nome; v. precedente nota (2) ] augurandosi quindi che le lacrime versate possano aiutare a riempire nuovamente quella sorgente di vita che è stata così brutalmente inaridita.
Anche la Qinnàh di Beeri si conclude quindi con una nota cautamente ottimistica, in linea con quanto accennato nell'Introduzione nel paragrafo “Qinnàh e Catarsi”.